BuonCuore

Non so per quale motivo ho sentito improvvisamente il bisogno di quella che gli umani chiamano vacanza. Forse è voglia di vedere il mare, di conoscere altra gente, non lo so. So che ho chiesto il permesso al mio padrone; lui inizialmente ha tentennato ma ha infine acconsentito. Come ho già detto avevo voglia di mare e, dopo aver consultato diversi opuscoli, ho optato per una crociera. Il mio padrone mi ha messo in guardia sul fatto che quella che ho scelto è una nave per esseri umani e non per Creature Taurine. Gli ho detto che non esistono crociere per Creature Taurine; in verità non esiste quasi nulla di vacanziero dedicato alle Creature Taurine, visto che noi ci divertiamo aiutando gli altri, ma questo ha poca importanza. Il mio padrone mi ha avvertito che sarò mal sopportato, mi faranno sentire che sono lì solo perché sono un cliente pagante, ma che se potessero mi butterebbero a mare; ho fatto spallucce: ci sono tanti umani e sono convinto che troverò qualche amico, non subito magari, ma qualcuno che mi consideri per quello che sono tra tutti quegli umani riuscirò a trovarlo. Insomma, tanto ho detto e tanto ho fatto che alla fine ha acconsentito. Ora sono in fila per salire sulla nave; la gente ha moltissimi bagagli per affrontare il mese di crociera; io ho solo alcuni gilè di ricambio più una riserva di soldi per le spese nella nave (bar, gelato, qualsiasi cosa) prestatami dal mio padrone (no, non posseggo denaro mio proprio). Già, un altro dei nostri vantaggi: abbiamo bisogno di poche cose per stare bene; fosse per noi faremmo a meno anche dei soldi, ma gli umani li adoperano e noi ci adattiamo. Mentre sto considerando queste cose, arriva il mio turno. L’ufficiale è nervoso a vedermi; gli porgo il biglietto; lui lo prende con mani tremanti; lo legge; poi chiama un marinaio; non appena arriva fa un salto vedendomi. L’ufficiale gli passa il biglietto ed il marinaio fa segno di seguirlo. Ho l’impressione che preferirebbe farne a meno. Salgo sulla nave. È enorme; ho letto sull’opuscolo che vi sono tredici ponti; dopo aver preso posto in cabina vedrò di farci un giro. Nel frattempo il marinaio mi guida verso la parte bassa della nave; sono quasi dieci minuti che percorriamo corridoi e scendiamo scale; mi porta lontano da qualsiasi alloggio umano; ci avviciniamo alla stiva; superiamo anche quella e continuiamo a scendere.

« Scusi, ci vuole ancora molto? » chiedo.

« Cinque minuti » risponde seccamente.

Scendiamo lungo una scala, dove noto un cancello aperto; questa zona solitamente è riservata e non accessibile al pubblico. Tra un po’ superiamo pure la linea di galleggiamento. Mi chiedo dove diavolo possano aver ficcato la mia cabina. Passiamo infine per un corridoio stretto: io lo occupo interamente; infine ci fermiamo davanti ad una piccola porta; piccola anche per un essere umano che per passarci dovrebbe abbassare la testa.

« Questa è la sua cabina – dice il marinaio – Questo normalmente è un corridoio di servizio, quindi la prego di non ingombrarlo troppo a lungo con la sua mole »

« Molto gentile » rispondo ironico.

Il marinaio mi lancia la chiave e poi mi chiede di entrare, così lui può tornare indietro. Non gli rispondo. Apro la porta ed entro. Per fortuna il nostro corpo è in grado di passare anche da strette fessure, altrimenti non sarei mai passato da quella porta. La cabina è piccolissima: sembra un ripostiglio riadattato. Un’inutile branda e stata messa vicino all’oblò che è grande quanto una testa umana; non c’è materasso, solo alcune coperte; nel resto della cabina non c’è nulla. C’è poco spazio per muoversi. Considero che la branda è troppo piccola per me, così levo le coperte, la ripiego e la metto in un angolo. Recupero in tal modo un po’ di spazio. Per dormire dormirò per terra, tanto ci sono abituato e così facendo posso comodamente sgranchirmi le zampe nella cabina. Cerco di guardare fuori dall’oblò; beh, non mi sono poi tanto sbagliato sulla linea di galleggiamento: le onde lambiscono il vetro. L’oblò e sigillato: impossibile aprirlo per far entrare un po’ d’aria; d’altronde entrerebbe solo acqua. Completa l’operato un puzzo di chiuso ed altri odori che indicano cos’era prima la cabina; da quello che capisco era una specie di officina; probabilmente ci tenevano utensili e pezzi di ricambio. Insomma, giudizio complessivo sulla cabina: una schifezza. Per fortuna ho intenzione di passarci poco tempo. Esco dalla cabina e decido di iniziare la mia visita proprio da corridoio di servizio: voglio togliermi una curiosità. Il corridoio è lungo una trentina di metri e curva leggermente; un attimo prima di giungere alla fine, noto una porta simile a quella della mia cabina, con su scritto “Officina: vietato l’ingresso”. Alla fine del corridoio c’è una grande porta con su scritto: “Sala macchine: vietato l’ingresso”. Avevo ragione: la mia cabina è posta fuori i luoghi normalmente visitati dal pubblico. Per potermi voltare devo impennarmi sulle zampe posteriori ed appiattirmi contro il soffitto. Devo guidarmi con le zampe anteriori sulla parete e le mani sul soffitto. È faticoso ma ce la faccio. Tiro un sospiro scendendo. In quel momento un marinaio sbuca dalla curva; fa un salto vedendomi.

« Che cosa fa lei qui? Questa è zona riservata » mi apostrofa.

« Stia calmo – rispondo – La mia cabina è in questo corridoio, trenta metri alle sue spalle »

« Beh, qui comunque non ci deve andare – ribatte lui – Ora si scansi per farmi passare e se ne vada»

Sogghigno. Lo vedo preoccuparsi.

« E dove mi metto? – dico – Come vedi occupo tutto. Ora, o passa sotto di me o è lei a doversi scansare, a meno che non intendeva che devo entrare in sala macchine »

Il marinaio entra in officina per potermi far passare. Mormora qualche insulto a me rivolto, a bassa voce illudendosi che non possa sentirlo. Lo ignoro e me ne vado. Ho intenzione di visitare il resto della nave. La parte più bassa della nave è occupata dalla stiva, varie zone di servizio, gli alloggi dei marinai e quelli degli ufficiali. La mia cabina è sotto tutti questi. Mancano gli alloggi del primo ufficiale e del capitano; forse si trovano in un’altra zona della nave. Raggiungo le zone più popolate. Si respira un’aria diversa qui. A proposito: ho contato quattro ponti, per ora. Qui iniziano le varie cabine dei passeggeri e le zone all’aperto. Nella parte più bassa trovo il bar-ristorante. Entro dentro. Ho voglia di una cioccolata. Non c’è nessuno a parte il barista. Mi avvicino.

« Mi scusi » dico.

« Il bar è chiuso! » mi apostrofa lui in tono acido quando solleva lo sguardo.

« Apre dopo la partenza della nave? » chiedo cercando di essere il più gentile possibile.

Quello annuisce.

« Allora ci vediamo dopo » dico.

« Se proprio deve » mi dice lui.

« Gentilezza fatta persona » penso scocciato allontanandomi.

Continuo il mio giro. Quasi tutte le persone sono affacciate per salutare quelli sulla banchina. Nessuno di quelli che conosco è venuto, di conseguenza non ho nessuno da salutare. Cercherò di conoscere qualche essere umano durante la crociera; adesso è meglio non disturbarli. Tutti i ponti dedicati al pubblico sono fatti per avere zone che si affacciano sul mare, sdraio dove sdraiarsi, tavolini, zone dove poter stare un po’ all’ombra e quanto altro possa servire ad un essere umano per rilassarsi. Su uno dei ponti mediani noto disegnato per terra un gioco per bambini: bisogna tirare un disco e raggiungere il quadrato dove esso arriva, saltando su un piede solo, seguendo i quadrati numerati. Sempre su questo ponte vi è un gran numero di chioschi per potersi prendere gelati, bibite o quant’altro senza bisogno di scendere al ponte più basso. Sul ponte subito sopra, trovo una bella finestra sul mare. L’interno invece ospita la sala da ballo. Faccio schifo a ballare: sarà uno dei pochi luoghi che non visiterò nel corso della crociera. Verso i ponti superiori trovo la piscina e, collegata attraverso una scala, un bel luogo dove è possibile prendere il sole. Forse non i primi giorni, ma qui ci farò sicuramente un salto. I tredici ponti descritti nell’opuscolo sono quelli dedicati ai passeggeri. C’è poi un ponte più piccolo dedicato alla guida della nave, alloggio del primo ufficiale ed alloggio del capitano. Vi è poi un ponte strano: molto più piccolo degli altri, è dedicato ad una lancia di salvataggio. Non una scialuppa, una lancia. Mi chiedo come mai. Nel mio giro di perlustrazione ho notato un buon numero di scialuppe, salvagenti, giubbotti di salvataggio, estintori, kit di emergenza, razzi segnaletici, dispositivi aiuta-naufrago e tante altre cose: sono ben attrezzati in caso di emergenza. Mi fa piacere.

Ho fatto i conti: la nave possiede un totale di venti ponti; tredici sono dedicati ai passeggeri, uno alla guida e gli ufficiali superiori, uno alla lancia di salvataggio, quattro sono di, diciamo, servizio ed infine vi è il ponte dedicato alla sala macchine dove si trova la mia cabina. Un’altra cosa che mi chiedo è a cosa serva quel cancello che si trova sulle scale che portano verso la sala macchine, cioè al corridoio dove risiede la mia cabina. Boh!

La nave partirà ad istanti. Ridiscendo verso il basso: ho voglia della mia cioccolata calda. Mi conviene aspettare che la nave abbia lasciato il porto, così sono sicuro che il bar sarà aperto; intanto mi diletto a guardare i preparativi per la partenza. Ci vogliono dieci minuti prima che la nave parta ed altri dieci prima che lasci il porto. Gli esseri umani si preparano a godersi la loro crociera ed anch’io. Raggiungo il bar. Un paio di persone stanno prendendosi qualcosa ed il barman è molto gentile e disponibile. Mi avvicino discretamente. Le due persone pagano e se ne vanno interrompendo i loro discorsi. Il barista mi guarda storto.

« Che vuole? » mi chiede in tono aspro.

« La mia cioccolata calda, si ricorda? – rispondo gentilmente nonostante i modi sgarbati – Vorrei tripla dose »

« Ha i soldi? »

« Mi hai preso per scemo? » sto iniziando ad offendermi.

Il barista traffica pochi minuti e poi mi sbatte davanti una tazza di cioccolata spruzzandola sul banco. L’assaggio; verrebbe voglia di sputarla: amarissima, appena tiepida ed annacquata… non sa neanche di cioccolata.

« È uno schifo » dico al barista indignato che intanto mi dà le spalle.

« Questo è quello che è – mi risponde – Se non le piace, pazienza. Ma me la deve comunque pagare»

Mi trattengo da tirargli la cioccolata addosso e pago.

« Non dovrebbe essere più gentile con i clienti? » non riesco a trattenermi dal dirgli.

« Con voi assolutamente no! » risponde duro.

« Perché non sono un essere umano? » chiedo.

Lui annuisce. Mi allontano senza dire una parola; non credo metterò più zampa nel bar. Esco all’aperto; l’aria fresca mi calma subito. Vago per un po’; mi piacerebbe conoscere qualche essere umano. Mi ci vogliono pochi minuti per accorgermi che intorno a me si forma il vuoto. Pazienza: dovrò dargli un po’ di tempo per abituarsi. Raggiungo quella che ho battezzato Finestra sul Mare e lì mi godo il mare, appunto. Dopo un paio d’ore ho voglia di qualcosa di fresco. Mi avvicino ad uno dei chioschi e chiedo un gelato.

« È arrivato troppo presto, signore – mi dice la persona che si trova al chiosco che ho scelto – Non ce li hanno ancora consegnati »

Saluto. Vado ad un altro chiosco dove ho visto uno portarsi via un cono gelato.

« Spiacente: li ho appena terminati; quello era l’ultimo » mi dice l’uomo del chiosco.

Faccio il giro dei vari chioschi ed in breve capisco che, pur tenendo un tono gentile, nessuno di loro ha la benché minima voglia di servirmi. Non solo con il gelato, ma con ogni cosa. Ma se io voglio bere, che devo fare? Infine riesco a prendermi un paio di lattine di tè che erano in bella vista e quindi non potevano dirmi che non c’erano. Ho perso un’ora per prendere due stupide lattine. Torno alla mia Finestra sul Mare. Mi accorgo che anche i camerieri che si muovono qua e là, offrendo bevande e prendendo ordinazioni, girano al largo da me e fingono di non vedermi o sentirmi. Per fortuna almeno il mare è bello e rilassante.

All’ora di pranzo raggiungo il ristorante. La sala è molto ghermita. Raggiungo un cameriere e gli chiedo se posso mangiare. Lui osserva la mia grandezza e la sala.

« Spiacente, ma non c’è posto » mi dice.

« Oh beh, posso aspettare » rispondo.

« Un attimo » mi dice lui e va in cucina.

Torna dopo pochi minuti.

« Mi dispiace ma non c’è posto » mi ripete.

« Ho capito – dico – Ho detto che posso aspettare »

« No che non ha capito – mi dice – La cucina chiude prima che lei abbia un posto disponibile »

« Insomma, fatela breve – dico leggermente spazientito – se non mi volete tra i piedi basta dirlo. Posso avere qualcosa da portar via? »

« Un attimo che chiedo » mi dice e se ne rivà.

Questa volta sento i loro discorsi: i miei sensi li captano chiaramente.

« Non ho intenzione di sgobbare come un matto per un mostro insaziabile » dice uno.

« Vagli a dire che non c’è nulla e che ritorni alla sua cuccia » dice un altro.

« Ma quello va a finire che mangia me » dice il cameriere.

Il discorso segue su questi toni; capisco che non hanno la minima intenzione di darmi da mangiare. Dopo un po’ torna il cameriere. Trema. Ha paura della mia reazione su quello che so già che mi sta per riferire.

« Ci sarebbero degli avanzi » sussurra con un filo di voce.

« Ti sembro un cane od un maiale? » rispondo io ad alta voce, parecchio offeso.

Tutti si voltano a guardarmi.

« No, assolutamente no – si affretta a dire – però questo è tutto quello che possiamo darvi »

« La vostra splendida cucina sarebbe questo? – dico in tono ancora più alto – I vostri cuochi sanno solo pescare dall’immondizia da dare ai vostri clienti? »

« Basta così! – dice qualcuno uscendo dalla cucina – La nostra cucina non è adatta a tipi come voi »

Lo guardo. Lui sostiene il mio sguardo.

« Spiegati meglio » ringhio.

« Non sprechiamo il nostro talento per animali. Per lei ci sono solo avanzi »

« Quindi è questo che mi considerate? »

Nessuna risposta. Mi allontano offeso e furente. Mentre passo dalla porta incontro il primo ufficiale; lo riconosco dai gradi. Appena mi vede arrivare, fa un salto. Poi si scansa per farmi passare.

« Spero abbia mangiato bene » mi dice mentre gli passo accanto.

« Non ho mangiato » dico in tono arrabbiato superandolo.

Un istante dopo mi raggiunge.

« Aspetti un momento. Come sarebbe a dire che non ha mangiato? – mi blocca – Perché quel tono arrabbiato? Se c’è un problema di posti… »

« Il problema è un altro » lo interrompo in modo cordiale e gli racconto come è andata.

Non ho mai visto un essere umano fare una faccia più scandalizzata di quella che ha fatto il primo ufficiale. Fa poi un sorriso stiracchiato.

« Ma sono convinto che si è trattato di un disguido – dice con un tono di chi cerca una scusa per un comportamento non scusabile – Mi dia qualche minuto e risolvo tutto »

Con faccia accigliata si dirige a grandi passi in cucina.

« Ma dico siamo diventati matti?! – dice il primo ufficiale trattenendosi a stento dall’urlare – Trattare così un passeggero?! Digli che è un animale e merita solo avanzi?! La nostra compagnia è rinomata per la gentilezza verso i suoi ospiti, per farli sentire a loro agio in qualsiasi situazione e voi che mi combinate?! Non ho mai sentito assurdità come quelle che mi sono state riferite! Spero abbiate una valida spiegazione! »

« Ma ha idea di chi stiamo parlando? – dice uno di quelli – Ha visto cos’è? »

« Sì che l’ho visto e non mi importa del suo aspetto – risponde il primo ufficiale – È un cliente pagante. Ha pagato per salire su questa nave e per avere un trattamento uguale a quello degli altri e ciò gli deve essere concesso »

« Ma ha idea di quanto è grande e di quanto mangi? » cerca di giustificarsi un altro.

« So quanto consuma una Creatura Taurina – taglia corto il primo ufficiale – Ma per quale motivo crediate abbiamo fatto rifornimento extra? Vi dirò di più: ha anche pagato parecchi extra per avere un trattamento adeguato e voi lo trattate in questo modo? Avete fatto fare una figura di merda a me ed a tutta la compagnia! Ma questa me la pagate cara! »

Poi la loro voce diventa troppo bassa per sentirla dalla distanza in cui mi trovo. Non ho idea di come il primo ufficiale consideri le Creature Taurine, ma almeno mi fa piacere che mi voglia trattare come un normale cliente. Ci vuole un bel po’ prima che lo veda uscire. Parla con un cameriere. Quello tentenna. Lui gli prende taccuino e penna, afferra un menù ed esce dalla stanza da pranzo. Tira un sospiro per calmarsi e poi mi si avvicina. Mi sorride.

« Allora signore – esordisce – Innanzitutto le devo porgere le mie scuse a nome di tutta la compagnia: le assicuro che scene simili non si ripeteranno più »

« Scuse accettate » rispondo.

« Bene. Per quanto riguarda il posto per il mangiare, in effetti abbiamo un piccolo problema. Se lei è d’accordo pensav…amo di portargli da mangiare nella sua cabina »

Il primo ufficiale si è corretto: era lui ad aver pensato alla soluzione e cerca di farmi credere che l’abbiano ragionata insieme.

« Va bene, d’accordo » rispondo.

Il primo ufficiale mi passa il menù.

« Se vuol fare la sua ordinazione… – mi dice – E non si preoccupi delle porzioni: saranno adatte a lei»

« Molte grazie » dico.

Osservo il menù. Ordino antipasto, primo, secondo, contorno, insalata e formaggi, frutta e dolce. Da bere prendo solo acqua; il vino lo assaggerò un’altra volta.

« Spero non ci siano problemi a consegnare tutta la roba » chiedo temendo di aver ordinato un po’ troppo.

« Assolutamente no. Non si deve preoccupare – risponde il primo ufficiale – Solo dovrà aspettare un paio d’ore prima di mangiare. Sa com’è… »

« Non importa: comprendo perfettamente » dico interrompendolo.

« Bene. A tal proposito, se per la cena ed i pasti futuri lei possa venir a dare le sue ordinazioni un paio d’ore prima di quando vuol mangiare, potrà mangiare senza troppo attendere – fa una pausa – Non si preoccupi se la cucina è chiusa: ci serve solo l’ordinazione »

« D’accordo »

« Molto bene. Fra un paio d’ore nella sua cabina, allora » e torna in cucina con la mia ordinazione.

« Il primo che si azzarda a protestare, lo degrado istantaneamente a mozzo! » lo sento dire mentre mi allontano.

L’impressione è che il servizio in camera sia un modo per farsi scusare del comportamento degli altri. A me non può fare che piacere. Passo le due ore ad osservare il mare. I pochi esseri umani che stanno in giro non si fidano ancora ad avvicinarsi. Due ore dopo sono nella mia cabina ad attendere da mangiare. Passano pochi minuti e sento dei passi fuori.

« Ma chi diavolo ha deciso di mettere la sua cabina quaggiù? » sento lamentarsi il primo ufficiale.

Un istante dopo bussa.

« Avanti » dico.

La porta si apre. Nonostante mi sorrida, la sua faccia tradisce lo scandalo di vedere la mia sistemazione.

« Ti pareva » si lascia sfuggire tra i denti, osservando le dimensioni della stanza.

« Il pranzo è servito » dice infine ad alta voce, facendo segno agli altri di apparecchiare.

Portano dentro un tavolo ed un carrello su cui poggiano vari vassoi. In breve la tavola è apparecchiata.

« Noi siamo qui fuori, se ha bisogno di qualcosa » dice il primo ufficiale richiudendo la porta.

Tra me, il tavolo ed il carrello, la stanza è piena che non si ci sta. Mangio. Il pranzo è ottimo ed il cibo ben preparato. Quando ho finito li chiamo per sparecchiare. Pochi minuti dopo la stanza è nuovamente sgombra. Ringrazio il primo ufficiale per la cortesia.

« Dovere » risponde lui prima di allontanarsi.

Attendo qualche minuto in modo da assicurarmi che abbiano potuto portare via le cose e poi torno all’aperto.

Il primo pomeriggio lo passo a cercare di conoscere qualche essere umano, con scarsi risultati: tutti cercano una qualche scusa per starmi lontano. Mi fanno sentire un appestato. Forse dovrò portare un po’ di pazienza. Guardo il mare: in fondo mi piace; non mi stanco mai di guardarlo, farmi baciare dal sole ed accarezzare dal vento; mi piace guardare i banchi di nuvole, gli uccelli che volano ed i pesci che nuotano. Dopo alcune ore provo ad andarmi a comprare un gelato. Figurarsi. Le solite scuse: “è finito”, “non è ancora arrivato”. Uffa! Torno alla mia Finestra sul Mare. Poco dopo vedo arrivare un cameriere. Provo a chiamarlo. Quello devia. Incrocia il primo ufficiale che gli molla uno scappellotto e con fare serio mi indica con gli occhi. Il cameriere si avvicina.

« Desidera qualcosa? » mi chiede il cameriere sforzandosi di essere gentile.

Ordino una maxi-coppa di gelato al cioccolato ed una bottiglia di due litri di coca-cola. Il cameriere si allontana. Ringrazio con un cenno il primo ufficiale che ricambia e poi se ne va scuotendo la testa. Il cameriere ritorna due minuti dopo. Poggia la mia ordinazione su un tavolino al sole e se ne va senza dirmi niente.

« Ma che razza di modi » penso.

Raggiungo ciò che avevo ordinato e torno alla mia Finestra sul Mare, gustandomela tranquillamente. Successivamente giro di nuovo per la nave. L’ultima volta che mi sono avvicinato dove stavano alcuni bambini, i loro genitori li hanno portati via. Ora li osservo a debita distanza. A me piace vedere la loro allegria ed almeno i loro genitori non rovinano i loro giochi perché io mi sono avvicinato troppo.

È sera quando vado ad ordinare la cena. Questa volta non fanno alcuna storia. Mentre sono alla mia Finestra sul Mare aspettando, il primo ufficiale mi si avvicina.

« Mi scusi » dice per attirare la mia attenzione.

Noto che è un po’ nervoso.

« Mi dica » rispondo.

« Ho assistito a diverse scene di comportamento scorretto del mio equipaggio. Non ho parole per scusarmi. Le sarei grato se lei mi riferisse quando avvengono tali comportamenti nei suoi confronti. Vorrei rendere la sua crociera indimenticabile, sotto un punto di vista diverso da quello che sta vivendo »

« La ringrazio dell’offerta: sarà mia premura farlo. Anche se penso che lei sia l’unica persona che ci tiene davvero ai suoi clienti »

Il primo ufficiale fa un mezzo sorriso, un inchino e se ne va, mormorando insulti in direzione dei suoi sottoposti.

La cena si svolge senza problemi.

Dopo cena torno alla mia Finestra sul Mare. È bello il mare di notte. Sento la musica provenire dalla sala da ballo: mi fa da sfondo musicale. Rimango alzato fin quando la musica non smette ed anche un pezzo dopo; infine mi decido ad andare nella mia cabina. Mi sdraio per terra, mi copro un po’ con le coperte e mi metto a dormire.

Il giorno dopo mi sveglio di buon umore. Mi piacerebbe andare al bar, ma so già la schifezza che mi propinerebbe il barista, quindi rinuncio e vado fuori a godermi il sole e l’aria. La giornata si svolge come quella precedente: i vari marinai che mi trattano male, la gente che mi considera appestato, eccetera. La differenza è che almeno adesso riesco a mangiare ed anche a farmi dare qualche bibita fresca. Gelati quasi mai e più di una volta mi sono dovuto rivolgere al primo ufficiale quando tendevano ad esagerare. Per fortuna sono un tipo paziente.

Il terzo giorno di novità abbiamo che alcuni delfini seguono la nostra rotta. La gente fa a gara a cercare di vederli con binocoli e cannocchiali. Io non ne ho bisogno: la mia vista si è potenziata nel momento in cui il mio inconscio li ha scorti ed ora li vedo benissimo. Sono molto belli ed eleganti. Mi chiedo se tra di loro ci possa essere una qualche Creatura Taurina. Eh sì, gli animali base sono anche mammiferi marini: delfini in primis. Il mio inconscio mi porta l’informazione che non dovrebbero trovarsi da quelle parti. Passo praticamente tutta la giornata ad osservarli.

Il quarto giorno inizio a scocciarmi del modo in cui vengo trattato. Il mio padrone mi aveva avvertito che sarei stato visto come fumo negli occhi, ma qui mi sembra una congiura. Dopo l’ennesimo tentativo fallito di prendermi un gelato, sto tornando con umore nero alla mia Finestra sul Mare. Ma la trovo occupata da un bambino. Mi fermo a debita distanza: non voglio spaventarlo. Mi accuccio a terra e l’osservo: ha i capelli di un biondo acceso, li porta corti ma non troppo. Ha una pelle molto bianca ed un forte odore di crema solare raggiunge le mie narici. Sta osservando il mare, ma sbuffa. Ho l’impressione che si stia annoiando. Dopo un po’ alza la testa, come chi si sente osservato, e si volta verso di me. Nel suo volto si forma uno stupore indicibile. Mi osserva immobile per un minuto. Poi mi si avvicina ed inizia a girarmi intorno, osservandomi attentamente. Mi sento leggermente in imbarazzo. Appena finito il suo giro di perlustrazione del mio corpo, mi sorride e mi porge la mano.

« Piacere di conoscerti. Il mio nome è Dick » mi dice allegro.

« Molto piacere – rispondo stringendogli delicatamente la mano – Il mio è BuonCuore »

« Uh, che strano nome – dice lui – Come mai? »

« È quello che mi hanno dato » rispondo con un’alzata di spalle.

« Giusto. Domanda scema – mi risponde – Senti… – dal suo tono di voce si direbbe che non sa da dove iniziare – Ti andrebbe un gelato? » chiede infine.

« Se li chiedo io, li hanno finiti » rispondo.

« Eh? – mi fa di rimando – ‘spetta un momento » e si avvicina ad un chiosco.

« Che gusto? » mi urla dopo un attimo.

« Cioccolato! » gli rispondo.

Poco dopo torna con due coni gelato; uno è più grande di lui.

« L’ho fatto fare triplo, visto che sei un gigante » mi dice.

« Hai fatto benissimo. Ti ringrazio molto » rispondo contento di potermi finalmente gustare un gelato.

Dick sorride vedendo la mia contentezza. Mi fa segno se voglio camminare. Acconsento. I primi minuti passeggiamo gustando in silenzio il gelato, poi Dick mi dice che non avrebbe mai creduto di trovare una Creatura Taurina in questa crociera ed è felicissimo di potermi conoscere. Gli dico che sono altrettanto felice di averlo conosciuto. Con questo rompiamo il ghiaccio e Dick inizia a pormi un mucchio di domande sulle Creature Taurine e poi su di me. Acconsento volentieri a rispondere a tutte le sue domande. Per chiudere il nostro discorso, Dick mi chiede come sta andando la mia crociera.

« Ora che ti ho conosciuto, meglio » rispondo.

« Non ho capito » fa Dick.

Gli spiego come vengo trattato normalmente, la cabina, cosa mi volevano servire per pranzo la prima volta, insomma tutto.

« A parte il primo ufficiale, sembrano tutti la mia tutrice » dice Dick.

« Cosa? » faccio io.

« La mia tutrice » ripete lui.

« Forse è il caso che mi racconti tutto dall’inizio »

Dick annuisce. Vengo a sapere che Dick è a bordo di questa nave con la sua tutrice, una pazza convinta che lui debba sempre stare a studiare. Sono tre giorni che è chiuso in cabina, mentre lei si va a divertire. Alla fine non ce l’ha fatta più ed è uscito all’esterno. Ha cercato di stringere amicizia con qualcuno, ma non c’è riuscito molto bene. Solo una ragazza lo ha aiutato a mettersi un po’ di crema solare prima che il sole lo scottasse. Alla fine è andato a vedere il mare. Ripete che è felicissimo di avermi conosciuto. Ho l’impressione che si senta un po’ solo.

« Beh, io non ho nulla da fare durante la giornata – gli dico – e visto che siamo diventati amici, che ne dici di passare del tempo insieme? »

L’urlo di gioia che esce dalla gola di Dick è eloquente. Tutti si voltano a guardarci. Dick non ci fa caso.

« Andiamo a giocare » dice prendendomi per mano.

Mi porta a quel gioco disegnato per terra. Mi spiega brevemente come funziona. Quando arriva alla parte del saltare su un piede solo, guarda il mio corpo.

« Potresti farlo saltando sulle zampe posteriori » azzarda.

Acconsento. Dick è felicissimo. Giochiamo. Un paio di volte vince lui, una io. Dick è entusiasta e mi porta a fare mille altri giochi. A pranzo lui deve tornare nella sua cabina ed io devo ordinare il mio pasto. Ci diamo appuntamento dopo pranzo alla Finestra sul Mare.

Anche il pomeriggio scorre in allegria. Grazie a Dick riesco a prendere gelati e bibite senza dover penare. Gli restituisco ogni volta i soldi. A Dick piace giocare come a tutti i bambini, ma lui è anche un tipo curioso e mi pone mille domande su ogni argomento. Rispondo ad ogni sua domanda, cercando di stimolare il suo interesse. Quando è stanco lo prendo in braccio e lui si abbandona a me, felice. A sera ci diamo appuntamento per il giorno dopo.

Il giorno dopo mi si presenta con una crema solare in mano. Vuole aiutato a metterla. Andiamo in un luogo più appartato. Lì si spoglia ed io gli metto la crema. Poi torniamo alla Finestra sul Mare e lui contempla le onde per una mezz’ora circa, ogni tanto ponendo domande. Poi ci prendiamo un gelato, ce lo gustiamo ed infine andiamo a giocare.

Per tre giorni andiamo avanti in questo modo. Dick sembra non annoiarsi mai ed io sono contento della sua felicità.

Il quarto giorno, una donna si mette ad urlare avvicinandosi.

« Allontanati da quel coso pulcioso! » dice tutta arrabbiata tirando via Dick.

« Pulcioso? – penso io offeso – Io non ho le pulci »

Sto per controbattere, ma vedo Dick che mi fa segno di parlarne dopo. Così rimango quieto mentre lei vomita insulti verso di me. Mi offendo tantissimo. Mi accorgo di essere nervoso, visto che le mie zampe grattano il pavimento. Mi allontano: ho bisogno di sfogarmi. Raggiungo la piscina, getto il gilè per terra e mi tuffo in acqua. Inutile dire che la gente se ne va rapidamente, lasciandola vuota. Nuoto con vigore fin quando non mi passa e mi sento meglio. Esco e mi scrollo. Raggiungo la piattaforma dove prendere il sole col duplice scopo di asciugarmi e rilassarmi. Intorno a me si forma il vuoto. Mi sdraio per terra e mi crogiolo nel sole. Passano una decina di minuti e vedo una giovane ragazza dai capelli rossicci lievemente lunghi che viene a prendersi il sole. Si guarda intorno un po’ preoccupata di non trovare posto. Poi vede che intorno a me non vi è nessuno; sorride dolcemente e si avvicina.

« Mi scusi, è libero vicino a lei? » mi chiede.

« Certo » rispondo tranquillamente.

Lei mette l’asciugamano per terra e si sdraia accanto a me in tutta tranquillità. Si mette gli occhiali da sole per ripararsi dalla luce ed un paio di cuffie per sentire musica. Mi fa piacere vedere che esiste anche qualcun’altro che non mi considera un appestato. Dopo un po’ sento toccarmi. È la ragazza. Non riesco a capire se sta dormendo o lo fa apposta, ma sta accarezzandomi. È piacevole. La lascio fare. Dopo un’ora il mio manto è divenuto di un marrone più scuro; anche la ragazza inizia ad essere abbronzata. Si gira per prendere il sole sulla schiena; anch’io mi giro per prendere il sole dall’altro lato. Dopo un attimo la ragazza allunga di nuovo una mano ed inizia ad accarezzarmi. Inizio a fare le fusa. Dopo un’altra ora il mio pelo è divenuto di un bel marrone fulvo ed anche la ragazza è abbronzata. Ci alziamo in contemporanea.

« Grazie » mi dice la ragazza con un lieve inchino.

« Di che? » chiedo io perplesso.

La ragazza arrossisce.

« Di esserti fatto accarezzare » dice con un filo di voce.

« Non mi devi ringraziare: è stato molto piacevole »

« Spero di rivederti » dice la ragazza con un sorriso ancora rossa in volto mentre si allontana.

L’incontro con quella ragazza mi ha fatto tornare il buon umore. Oh, accidenti: non le ho chiesto il nome.

Torno nel ponte dove si trova la Finestra sul Mare. Vorrei parlare con Dick ma non credo che mi sarà possibile. Invece dopo un attimo mi sento chiamare. È Dick. Mi fa cenno di venire nel luogo appartato dove gli metto la crema solare. Lo raggiungo. Si sta massaggiando il culo: probabilmente è stato sculacciato sonoramente. Ha ancora il volto bagnato dalle lacrime, anche se adesso non piange.

« Ho poco tempo – esordisce Dick appena mi avvicino – Se la mia tutrice scopre che sono scappato dalla cabina per venire da te, me ne dà tali e tante che non mi siedo più per il resto della crociera. Purtroppo noi potremmo vederci solo la mattina e dovremmo stare attenti a quali ponti attraversiamo: la mia tutrice non vuole perdersi il divertimento, ma ha anche aumentato la mia sorveglianza… mi sembra di stare in prigione. Altra cosa: la mia tutrice dice che sei una belva pericolosa e piena di pulci… »

Ha parlato velocissimo per evitare che io lo interrompessi, solo ora si è fermato, forse per sapere la mia reazione.

« Ti offendi se ti dico che la tua tutrice è matta? » gli dico.

« Affatto – risponde lui tutto contento – Lo dico anch’io. Tu sei un bellissimo micione »

« Micione? – penso io – Lo prenderò per un complimento »

« Ora è meglio che vada. Ci vediamo domattina al solito posto. A proposito: bella pelliccia; domani mi spieghi come ha fatto a cambiar colore » e si allontana velocemente.

Sorrido. Dick mi sta molto simpatico.

Il pomeriggio lo passo da solo. Senza la compagnia di Dick è impossibile prendersi un gelato ed anche prendersi una bibita fresca è un’impresa. Ho provato a vedere se ritrovavo la ragazza che è venuta a prendere il sole, ma ho avuto scarso successo.

La sera sono alla mia Finestra sul Mare a godermi la notte, mentre la musica della sala da ballo mi fa da sottofondo. Mi arriva alle narici un odore familiare; mi volto: è la ragazza di questa mattina. Indossa ancora il costume da bagno; sopra di esso una cortissima gonna che le lascia scoperte le gambe; sul dorso indossa una camicetta quasi trasparente; più che a coprire il secondo pezzo di costume, serve a proteggerla dal vento. Si avvicina a passo sicuro a me.

« Posso mettermi qui vicino? » mi chiede.

« Certo » rispondo.

Mi si affianca e si mette a guardare il mare. Ho l’impressione che mi stesse cercando, ma mi sembra brutto chiederle il perché.

« È bello il mare di notte » dice dopo un momento.

« Già » dico io.

Lei mi osserva. Capisco la domanda che si vergogna a fare e sollevo un braccio per accoglierla. Lei si accoccola accanto a me. Abbasso il braccio facendoglielo passare dalla spalla lungo il petto fino al fianco. Lei con una mano mi afferra la mano che la cinge e con l’altra mi accarezza una guancia. Appoggia la sua testa sulla mia spalla; è rilassata e felice. Mi fa sentire bene. Dopo un attimo muove le gambe per stringerle meglio a me. Forse sente un po’ di freddo. Uso una zampa anteriore per coprirle le gambe, almeno parzialmente. Lei sorride felice e si stringe ancora di più, come volesse sprofondare nel mio pelo.

« Quanto sei morbido » mi dice in tono estasiato.

« Beh… grazie » rispondo io.

« Oggi è la giornata dei complimenti strani » penso.

Rimaniamo un altro po’ in silenzio. La ragazza ha un sorriso tale che mi fa intenerire: sembra che abbia quasi raggiunto la felicità massima. La stringo delicatamente a me mentre cerco di coprirle meglio le gambe. Lei si lascia completamente andare al mio abbraccio, facendo scivolare la gambe sotto di me. È più felice che mai. Socchiude gli occhi.

« Sono felicissima di averti incontrato. Non credevo di trovare qui una Creatura Taurina » dice.

« Non ti nascondo di essere felice di averti conosciuto. Sei una delle poche che non hanno paura di me. Anzi sembri molto abituata ad aver a che fare con noi »

« Più di quanto non immagini » conclude chiudendo gli occhi.

La musica è rilassante. Ho l’impressione che si stia per addormentare. Dopo un attimo li riapre e sbadiglia.

« Oh, accidenti. Mi stavo addormentando. Forse è il caso che vada » dice ma non cerca di sciogliere l’abbraccio.

Guarda un altro minuto il mare.

« Mi piacerebbe addormentarmi in braccio a te – ammette infine – Sono convinta che starei benissimo. Ma tu non sai dov’è la mia cabina e se rimango qui tutta la notte mi viene il raffreddore »

« Se mi dici dov’è la tua cabina…? » azzardo io.

Lei ride.

« Proposta allettante, ma non credo che le mie compagne di viaggio gradirebbero » dice.

« Schizzinose anche loro con le Creature Taurine? »

« Non so. Molto probabile. Molte di loro hanno la puzza sotto il naso. Ma senza di loro non sarei qui e non ti avrei incontrato »

Sorrido. Lei ricambia.

« Forse è il caso che vada davvero » dice sciogliendo l’abbraccio.

Si stiracchia.

« Spero di rivederti » mi dice.

« Tutte le notti io sono qui, se vuoi… »

Il sorriso gioioso della ragazza mi fa capire che non vi è bisogno di dire altro.

« Allora a domani notte » mi dice.

Fa per andarsene, ma poi si blocca dandosi una manata in fronte.

« Stavo dimenticandomi le buone maniere. Il mio nome è Jane » e mi porge la mano.

« Il mio BuonCuore » dico stringendola delicatamente.

« Allora a domani notte » ripete lei felice e si allontana velocemente.

Sono contento. L’incontro con Jane ha allietato una giornata che sembrava brutta. Rimango alzato qualche minuto; poi vado a dormire.

Il giorno dopo mi incontro con Dick. Andiamo a mettergli la crema solare e poi ci affacciamo sul mare. Dick vuole sapere come ha fatto la mia pelliccia a cambiare colore.

« È un processo analogo all’abbronzatura – rispondo – I peli superiori cadono lasciando posto a quelli inferiori che sono irrorati di una sostanza che assorbe i raggi del sole e produce tale mutamento di colore. Non credere che lasci peli ovunque: lo strato superficiale è minimale e si disintegra nel giro di breve tempo »

« Perché perdi lo strato superficiale? » chiede Dick.

« Perché il sole è caldo. È lo stesso procedimento che avviene quando da inverno diviene estate; in quel caso, però, perdo davvero una grande quantità di peli »

« Capito – dice soddisfatto – Ci prendiamo un gelato ed andiamo a giocare? »

Annuisco. Ci godiamo quasi tutta la mattina. Poco prima di pranzo, Dick ritorna in cabina per non farsi beccare dalla tutrice. Capisco che lo studio è importante, ma quella di Dick mi sembra più una prigione. Vorrei poter far qualcosa… Almeno gli farò godere tutte le mattinate.

Nel pomeriggio decido di dirigermi di nuovo alla piscina. Faccio un giro lungo: ho voglia di camminare. Mentre sto passando per uno dei ponti poco prima di quello della piscina, un piccolo libro scaraventato mi passa a pochi millimetri dalla faccia. Prima ancora che me ne sia reso conto, la mia mano lo ha afferrato. È un mini prontuario sulla vita del marina; è scritto microscopico. Mi volto nella direzione da cui è arrivato. Sepolta sotto una montagna di libri e fogli vedo spuntare la testa rossiccia di Jane. Mi avvicino. Sta cercando di svolgere un qualche compito. Si tiene una mano sulla testa con fare disperato.

« Ti è caduto questo » gli dico.

Lei solleva la testa.

« Oh! Ciao! Spero di non averti colpito » mi dice.

« Tranquilla. Che cosa è successo? »

« È il libro che è scritto con i piedi… »

Mi spiega in breve che sta studiando per diventare Oceanografa. È indietro col programma e quindi si è portata da studiare e fare qualche compito anche qui. Solo che si sta scoraggiando perché non riesce a capirci niente. Do un’occhiata a quello che deve fare. I libri che ha appresso sono in effetti scritti con i piedi.

« Se vuoi, posso darti una mano » dico.

« Davvero? – dice lei felice ed incredula allo stesso tempo – Sei sicuro che non ti faccia perdere tempo? »

« Nessuna perdita di tempo. Anzi sono convinto che riusciremo a fare la cosa interessante e divertente allo stesso tempo »

Mentre parlo la mia parte inconscia porta alla parte conscia tutto il necessario per aiutarla. Lei si scansa per farmi posto e mi racconta cosa deve fare e le difficoltà che trova. Stiamo un’ora insieme parlando dei vari problemi e studiando. Alla fine, soddisfatta, Jane ammonticchia tutti i libri ed i fogli per portarli via.

« Ho fatto più in quest’ora che in un mese di lavoro – mi dice – Ed è stato pure più interessante e divertente »

« Mi fa piacere » non so che altro dire.

« Ti andrebbe di andare a fare una nuotata e poi a prendere il sole? » mi chiede dopo aver raccolto la sua montagna di roba.

« Va bene » le dico contento.

« Aspettami cinque minuti » mi dice allontanandosi.

« Sto per passare un bel pomeriggio » penso.

Cinque minuti dopo Jane torna in costume da bagno con un asciugamano, la crema solare, le cuffie per sentire la musica e gli occhiali da sole. Ci facciamo insieme una bella nuotata. Jane mi parla di quello che sta studiando mentre nuotiamo. Passiamo un’ora immersi nell’acqua. Giochiamo anche con una palla. La piscina è diventata deserta due minuti dopo che sono arrivato. Sono convinto che due minuti dopo che me ne sarò andato, si riempirà di nuovo. La cosa ha poca importanza: io e Jane ci stiamo divertendo.

Usciti dalla piscina mi scrollo e poi aiuto Jane ad asciugarsi ed a mettersi la crema solare. Poi andiamo a prendere il sole. A Jane piace stare in silenzio accarezzandomi, in questo momento. Due ore dopo lasciamo anche quel posto. Torniamo al ponte dove ci siamo incontrati.

« Mi andresti a prendere un gelato, mentre vado a mettermi qualcosa addosso? » mi chiede.

« Se potessi lo farei volentieri – rispondo – Ma per me non ci sono gelati »

« Come? »

Le spiego in breve la situazione. Lei tira un sospiro.

« Certo che la gente – commenta scuotendo la testa – Ci posso pensare io, ma dovrai aspettare un momento »

« Prenditi tutto il tempo che ti serve »

Dieci minuti dopo torna con indosso una graziosa vestaglia e con un vassoio contenente il gelato.

« Scusa il ritardo, ma non trovavo che mettermi: ogni tanto le mie compagne mi fanno sparire i vestiti » mi dice.

« Come? »

« Sì, ogni volta che metto il costume da bagno, i miei vestiti scompaiono per ricomparire il giorno dopo. Ho l’impressione che me li lavino. Io però non ho portato un grande guardaroba »

« Se ti dà fastidio, potresti dirglielo »

« Veramente no – dice lei arrossendo – Non dirlo in giro, ma sulla nave mi trovo più a mio agio così: in costume da bagno, con questa vestaglia, con quello che indossavo ieri sera, con una mantella e cose così. Mi sento più libera »

« Non ti vergognare con me – le rispondo – Non lo dirò a nessuno »

Lei mi sorride. Ricambio.

Passo il resto del pomeriggio con lei. È una tipa a cui non importa nulla di quello che dicono gli altri; non le importa che i maschi la guardino, non le importa dei commenti che vengono proferiti vedendola in mia presenza; l’unica cosa che vuole evitare è che io conosca la sua cabina: dorme insieme a tre ragazze che attaccherebbero una tubana se mi vedessero anche solo avvicinarsi e lei in cabina ci vorrebbe andare per dormire e non per farsi venire il mal di testa.

A sera, dopo cena, ci rivediamo alla Finestra sul Mare; lei si presenta con lo stesso vestito della sera prima.

« Spero non ti dispiaccia…? » inizia a dire ma non termina la domanda.

Capisco che vuole essere abbracciata come la sera scorsa. Alzo il braccio per invitarla ed un minuto dopo lei è nella stessa posizione della sera prima, completamente abbandonata al mio abbraccio, più felice che mai. Mi chiedo cosa la spinga tanto a cercare la mia vicinanza, ma non parlo. Jane rimane con me fin quando non si addormenta. La lascio dormire quindici minuti, poi la sveglio delicatamente. Lei si sbadiglia e si stropiccia gli occhi.

« Grazie » mi dice con un sorriso stanco prima di sciogliere il mio abbraccio.

Sta per andarsene, ma cambia idea e mi abbraccia stretto.

« Grazie di esistere » mi dice felice.

Ricambio l’abbraccio senza rispondere, mentre una lacrima di felicità di cade: è il più bel complimento che abbia mai ricevuto in tutta la mia vita.

« Facciamo colazione insieme, domani? » mi chiede senza lasciarmi.

« Per le nove avrei un appuntamento » le dico.

« Io faccio colazione alle otto »

« Allora ci vediamo domani a colazione. Al bar, giusto? »

Lei annuisce, poi scioglie l’abbraccio, mi dà un bacio sulla guancia e se ne va. Rimango cinque minuti ad osservare il mare, poi vado a letto anch’io.

Il giorno dopo mi presento al bar puntuale alle otto. Lei mi sta già aspettando. Appena mi vede, sorride e mi fa segno di avvicinarmi.

« Aspetti da molto? » chiedo.

« Sarà un minuto – risponde lei – Ti ho preso una cioccolata calda tripla. Spero ti piaccia »

Ricordo quello schifo di cioccolata che ho assaggiato il primo giorno. Non dico niente. La prendo e la porto alle labbra. È buonissima. Il barista doveva aver fatto la schifezza apposta per me, in modo tale che non vi mettessi più piede.

« È molto buona – dico – È la prima volta che l’assaggio. Cioè… la prima volta il barista mi ha propinato una schifezza »

« Un altro che non sopporta le Creature Taurine » dice lei sospirando.

« Grazie a te, ora assaggio qualcosa di buono »

Lei sorride. Facciamo colazione. Parliamo del più e del meno ma il più delle volte è lei che mi guarda con aria sognante. Infine non resisto alla mia curiosità:

« Cos’è che ti attrae così tanto a me? – chiedo – Intendiamoci: sono estremamente felice di questo, sono felice che cerchi così tanto la mia presenza, ma mi piacerebbe sapere il perché »

« Perché, probabilmente, mi ricordi mio fratello: anche lui è una Creatura Taurina »

Per poco non mi affogo con la cioccolata.

« Come? » chiedo stupito.

« È adottivo » ride lei.

« Lo avevo immaginato – rispondo – Ma non avevo mai sentito di Creature Taurine adottate. Conoscevo solo il debito di vita »

« In effetti è una storia un po’ strana. Se hai tempo e voglia te la racconto »

« Vai tranquilla: ho ancora quaranta minuti prima dell’appuntamento »

« Allora, PassoFelpato, il nome di mio fratello, è una Creatura Taurina il cui animale base è una pantera nera. L’ho trovato quando ero una bambina piccola, avrò avuto tre o quattro anni, non ricordo bene. Lo avevo scambiato per un gatto nero. Lo avevo trovato vicino all’immondizia. L’ho raccolto e l’ho portato a casa. La mamma è allergica al pelo del gatto e così l’ho tenuto nascosto. Beh, sai come si è da bambini. I miei genitori si sono subito accorti che avevo portato un animale in casa, però hanno fatto finta di niente. Non ti so dire quando hanno dato un’occhiata al mio “gatto” ed hanno capito chi era, so che una settimana dopo mi hanno chiamato in camera mia. Ricordo ancora come mi fece strano vedere PassoFelpato accucciato sulle ginocchia di mio padre, intento a colorare un album. Mi spiegarono chi era in realtà PassoFelpato. Se vuoi sapere la mia reazione, non te la so dire. So solo che da quel momento in poi lui è diventato mio fratello. I miei genitori mi hanno poi spiegato tutta la problematica burocratica: scoprire a quale cucciolata apparteneva PassoFelpato, scoprire perché il suo padrone lo aveva, nel vero senso della parola, buttato, farselo assegnare, liberarlo ed infine renderlo mio fratello. Giuridicamente parlando non credo che veniamo considerati fratelli, ma non mi importa. Quello che mi preme dirti è che con lui mi ci sono sempre trovata bene: prima ero io ad insegnargli le cose e lui a farmi divertire, poi, quando è divenuto più bravo di me, le parti si sono invertite. È stato attraverso di lui che ho conosciuto le Creature Taurine ed ho imparato ad apprezzarle. Tu me lo ricordi molto: anche lui mi aiutava quando ero in difficoltà con i compiti ed anche lui assecondava i miei capricci; sai: il farsi accarezzare, l’addormentarsi nel suo morbido abbraccio… »

« Fossero tutti così i capricci » commento.

Jane ride.

« Sei molto legata a tuo fratello » dico.

Jane annuisce.

« Dov’è ora? » chiedo.

« In giro. Probabilmente a salvare la gente come fanno tutte le Creature Taurine. Però ci sentiamo ancora. Ci scriviamo frequentemente e lui non ha mai mancato un compleanno – fa una lunga pausa – Sono tanto felice di essere diventata tua amica, BuonCuore »

« Altrettanto » rispondo.

Mentre continuiamo a guardarci mi viene un’idea.

« A te piacciono i bambini? » chiedo.

« Sì, perché? » mi risponde perplessa.

« L’appuntamento che ho alle nove è con un bambino. La sua tutrice lo farebbe sgobbare sui libri da mattina a sera; lui riesce a scappare qualche ora per venire a giocare con me. Pensavo che due amici sono meglio di uno »

« Sì, sono d’accordo. Ma a questa tutrice hai provato a parlare? »

Anche se non lo dice mi accorgo che è rimasta scandalizzata dal fatto che la tutrice non voglia far giocare il bambino.

« Mi considera un coso pulcioso » dico.

« Questa non l’avevo mai sentita – dice Jane trattenendosi dal ridere – Comunque andiamo a trovare questo bambino »

Ci avviciniamo insieme alla Finestra sul Mare. Dick è già lì che mi sta aspettando con la crema solare in mano.

« Ciao! » mi dice tutto contento.

Poi il suo sguardo cade su Jane. Prima che io riesca a dire qualcosa sono loro a parlare.

« Ma tu sei la ragazza che mi ha messo la crema solare la prima volta » dice Dick in contemporanea a Jane.

« Ma tu sei il bambino a cui ho messo la crema solare quella volta » dice Jane in contemporanea a Dick.

« Sì, sono proprio io » dicono insieme.

Trattengo una risata.

« Beh, se già vi conoscete è più facile fare le presentazioni – dico – Jane ti presento Dick. Dick ti presento Jane »

« Piacere » dicono stringendosi la mano.

Accompagniamo Dick a mettersi la crema solare e poi li porto ad un tavolo.

« Vado a prendere un gelato » dico e mi allontano.

Inutile dire che i vari chioschi mi negano il gelato con le solite scuse. Torno al tavolino.

« Niente gelato. Se lo chiedo io o è finito o non gli è arrivato »

« Di nuovo! » fanno in coro Dick e Jane.

Si dirigono entrambi ad un chiosco. Quando tornano con i gelati, stanno parlando: la mia idea per rompere il ghiaccio ha funzionato. Saputo che Jane sta studiando per divenire Oceanografa, Dick inizia a porre mille domande sul mare. Tra Jane e me riusciamo a rispondere a tutte. Dick a questo punto ci invita a giocare. Ci divertiamo tutti e tre insieme. Poco prima di pranzo Dick deve andarsene. Jane riesce a farsi dire come stanno le cose prima che se ne vada, compresi alcuni dettagli sulla tutrice ed altre cose.

« A cosa pensi? » le chiedo dopo che Dick se ne andato.

« Ad un’idea folle che provo ad attuare dopo pranzo. Se tutto va bene, ci vediamo verso le tre alla Finestra sul Mare »

Ci separiamo. La mia idea di appoggiarmi a Jane per far uscire Dick dalla sua prigione, forse darà i suoi frutti prima del previsto.

Alle tre sono alla Finestra sul Mare ad attendere. Questa volta sono io a dover attendere un minuto prima che loro arrivino. Jane sta portando Dick per mano. Nell’altra ha un borsone. Sono entrambi felici. Dick mi corre incontro tutto felice e mi abbraccia. Poi mi racconta di come Jane si sia presentata come un’austera maestra che avrebbe fatto sgobbare il bambino lasciando libera la tutrice di divertirsi. Ha detto altresì che lo avrebbe portato in un luogo dove avrebbe potuto controllarlo come si deve. Jane mi racconta di come Dick è stato al gioco, dei primi tentennamenti della tutrice e di come poi abbia accettato con gran gioia. Dick deve tornare nella sua cabina a pranzo ed a cena, ma per il resto può stare con noi. L’unica cosa che preoccupa un po’ Dick è il fatto che la tutrice lo interrogherà tanto a pranzo quanto a cena.

« E tu saprai come rispondergli – dico io – Basterà un’ora di studio e ti assicuro che sarà divertente»

Dick non sembra convinto, ma prova a fidarsi. Decidiamo di partire dallo studio. Dick e Jane si mettono a studiare mentre io aiuto alternativamente l’uno e l’altra. So che Dick è un tipo molto curioso e mi basta stuzzicare questa sua caratteristica. Alla fine dell’ora, sia Dick che Jane sono molto soddisfatti. Dick è entusiasta del mio modo di insegnare: dice che ha imparato più cose in quest’ora che nei giorni precedenti. Jane intanto mette via i vari libri e poi propone di andarsi a fare una nuotata.

« Non so nuotare » dice Dick.

« Possiamo insegnarti » rispondiamo io e Jane.

« Ma non ho il mio costume da bagno » dice Dick.

« Quello l’ho preso – dice Jane – Insieme ad un altro po’ di roba – dice aprendo una tasca interna del borsone e mostrando un costume da bagno, la crema solare, alcuni giocattoli, un cappello – Per gli asciugamani possiamo usare i miei »

Dick è entusiasta.

« Mi manca solo la cabina » dice.

« Puoi usare la mia – dico – Non sarà bella, sarà un po’ fuori mano, ma è utile allo scopo »

Dick non se lo fa ripetere: prende il costume da bagno e mi porge la mano.

« Ci vediamo in piscina » diciamo in coro a Jane.

Per raggiungere la mia cabina ci vuole un po’ di tempo. Dick si guarda intorno: sta cercando di memorizzare il percorso.

« In un posto più brutto non te la potevano mettere » commenta quando arriviamo.

« Basta che sia funzionale » dico.

Dick si cambia. Indossato il costume da bagno, ammonticchia le sue cose da una parte.

« Non ti dispiace se ti lascio qualcosa qui, ogni tanto? » mi chiede dopo averci pensato un attimo.

« Puoi far di questa la tua seconda cabina » rispondo.

Dick mi salta in braccio felicissimo. Non ha parole per ringraziarmi, ma per me la sua felicità è il più bello dei ringraziamenti. Tenendolo in braccio lo porto alla piscina. Ci facciamo il bagno insegnando a Dick a nuotare. Jane si diverte un mondo a vedere i progressi di Dick. Passiamo un’ora divertente che diventano due perché Dick non vuole uscire dall’acqua ed entrambi siamo felici del suo entusiasmo. Dopo esserci asciugati, andiamo a prendere il sole. Temevo che Dick si annoiasse ma non è così: mentre noi ci abbronziamo, Dick, con il cappello in testa, gioca tra le mie zampe con il suo giocattolo preferito: un cavallino con le ruote; è un giocattolo antidiluviano ma lui si diverte molto. La pelle di Dick, ora completamente scoperta visto che è in costume da bagno, richiede di applicare la crema solare ogni ora. La cosa non preoccupa nessuno dei tre. Due ore dopo scendiamo in basso. Prima di prenderci qualcosa di fresco, Jane vuole andare a mettersi qualcosa addosso; consigliamo a Dick di fare altrettanto, ma lui non vuole; non vuole rimettersi i vestiti; dice di stare meglio così.

« Allora sei come me – dice Jane divertita toccandogli il nasino – Aspettatemi qui » e si allontana.

Mentre aspettiamo il suo ritorno, stringo a me Dick: c’è un po’ di vento e non vorrei sentisse freddo. Dick mi sorride.

Dieci minuti dopo Jane torna con indosso una mantella rosa trasparente; ne ha in mano un’altra azzurra per Dick.

« Con questa starai come fossi solo in costume da bagno, ma non dovrai temere il vento – dice mentre gliela mette – Se poi hai freddo c’è sempre la pelliccia di BuonCuore » e fa l’occhiolino.

A me viene da ridere. Dick è entusiasta.

« Grazie di avermela prestata » dice.

« Non te l’ho prestata, te l’ho regalata. Questa sera dovrei riuscire a portare nella cabina di BuonCuore qualche altra cosa, così domani potrai scegliere quali vestiti-non vestiti indossare ogni volta »

Dick è contentissimo e l’abbraccia. Jane ricambia.

« Dove te li procuri? » chiedo io curioso.

« Sono le mie compagne di viaggio – mi risponde – Ho spiegato la situazione di Dick e loro si stanno facendo in quattro per procurarsi un po’ di cose. Forse non gli piacciono le Creature Taurine, ma non sopportano l’idea che un bambino non si possa divertire; sono state sempre loro ad avermi aiutato a preparare la recita che usiamo di fronte alla tutrice e mi avvertiranno se è il caso di cambiare strada »

« Vi siete ben organizzati » dice Dick tutto contento.

Jane annuisce.

« Andiamoci a prendere qualcosa di fresco » propongo.

Jane e Dick annuiscono.

Il resto del pomeriggio lo passiamo in allegria, tra giochi, chiacchiere ed osservando il mare. Ogni ora mettiamo a Dick la sua crema solare che porto sempre in una tasca del gilè. Dick non sta mai fermo: gli sembra di essere uscito da un incubo e finalmente si può godere la sua vacanza; anche Jane si diverte: è felice di vedere Dick contento e di starmi un po’ accanto. Io sono contento di aver trovato due amici.

Al tramonto inizia a far freddino per Dick; così lo prendo in braccio e lo stringo alla mia calda pelliccia mentre osserviamo il sole tramontare. Dick è stanco ma felice. Jane mi sta accanto ad osservare anche lei il mare; non è stanca però è felice. Scambiamo qualche chiacchiera e rispondo a qualche domanda di Dick, fin quando il sole non finisce di tramontare; a quel punto accompagno Dick nella mia cabina per fargli rimettere i vestiti. Dick è un po’ scocciato di dover tornare dalla sua tutrice e dice che preferirebbe star con me; lo consolo dicendo che domani ci vediamo di nuovo. Dopo che è pronto lo riaccompagno da Jane che ci sta aspettando con indosso una vestaglia da camera, in una mano ha il borsone pieno di libri e nell’altra un grosso pacco. Il pacco lo dà a me.

« Lì dentro ci sono i tuoi vestiti-non vestiti – spiega a Dick – ma è meglio che li guardi domani. Adesso dobbiamo ripassare la nostra recita per la tua tutrice »

Dick soffoca a malavoglia la sua curiosità; prende per mano Jane. Ci diamo appuntamento il giorno dopo alla Finestra sul Mare e poi ci separiamo.

Dopo cena, Jane mi raggiunge alla Finestra sul Mare. Indossa lo stesso abito della sera scorsa. L’accolgo nel mio abbraccio e lei si abbandona a me come l’altra volta. Faccio passare un minuto prima di fare la domanda:

« Come è andata con la tutrice di Dick? »

« A meraviglia: si è bevuta come acqua tutte le mie panzane. Dick era preparatissimo per l’interrogazione. Ciò è anche merito tuo… principalmente merito tuo. Domani potremmo sentire come è andata a Dick »

« Molto bene » rispondo sorridendo.

Rimaniamo in silenzio ad osservare il mare con la musica della sala da ballo che ci fa da sottofondo. Come la sera precedente, Jane alla fine si addormenta tra le mie braccia con un sorriso gioioso. La lascio dormire quindici minuti e poi la sveglio. Lei si alza assonnata.

« Meglio che vada a letto: domani devo andare a prendere Dick » dice.

Mi dà un bacio della buonanotte e se ne va. Rimango alzato altri cinque minuti e poi vado a letto anch’io.

Il giorno dopo Dick e Jane arrivano alla Finestra sul Mare, dove li sto già aspettando. Stanno entrambi sorridendo.

« Come è andata? » chiedo a Dick sorridendo a mia volta.

« Splendidamente – risponde – Sono riuscito a rispondere a tutta l’interrogazione, un po’ tentennando a volte ma ho risposto a tutto. Questa mattina la pazza è stata felicissima di consegnarmi a Jane; devo tornare per pranzo ed il pomeriggio sarò di nuovo qua… insomma, come da accordi iniziali – breve pausa – Io vorrei cambiarmi »

Accompagno Dick nella mia cabina; c’è anche Jane. Fa lo stesso commento di Dick quando la vede; gli do la stessa risposta. Dick si toglie i vestiti e si mette il costume da bagno. Apre poi il pacco: dentro c’è una canottiera trasparente, un paio di pantaloncini cortissimi abbinati ad una maglietta semi-trasparente, una vestaglia corta, un accappatoio anch’esso corto e tanti altri vestiti il cui scopo più che coprire serve a proteggere dal vento; dei vestiti-non vestiti, come dice Jane. Dick è contento. Per questa mattina sceglie la canottiera trasparente. Prima che se la metta, gli metto la crema solare. Pochi minuti dopo siamo alla Finestra sul Mare a fare colazione. Decidiamo come passare i giorni successivi: dopo colazione dedichiamo una mezz’ora a preparare il programma di studio (cosa studiare, quali compiti fare) sia per Dick che per Jane; il resto della mattina lo dedichiamo al gioco ed al divertimento; dopo pranzo si studia; poi andiamo in piscina (l’idea sarebbe un’oretta, ma alla fine ne passiamo sempre un paio perché a Dick piace stare in acqua); dopo io e Jane ci abbronziamo al sole mentre Dick gioca tra le mie zampe; Dick mi ha confessato che mi trova più bello quando sono di marrone fulvo; mentre prendiamo il sole, Jane mi accarezza sempre; qualche volta si unisce anche Dick; il resto del pomeriggio lo passiamo in mille modi diversi, tra giochi, chiacchiere, guardando il mare, prendendosi qualcosa di fresco ed altri modi; Dick, come Jane, preferisce stare in costume e di volta in volta sceglie sempre dei vestiti-non vestiti diversi; ovviamente ogni ora gli metto la crema solare; a sera, durante il tramonto, inizia a far freschino per Dick; così lo prendo in braccio ed osserviamo il sole sprofondare lentamente nelle acque; qualche volta Dick pone delle domande ma ho l’impressione che sia tutta una scusa per potermi stare in braccio; dopo il tramonto, Dick e Jane si separano da me per prepararsi all’incontro con la tutrice; dopo cena Jane mi raggiunge e si abbandona al mio abbraccio; parliamo pochi minuti, ma poi Jane preferisce lasciarsi cullare dalle onde e dalla musica proveniente dalla sala da ballo; si addormenta sempre; quindici minuti dopo la sveglio e lei va a dormire nella sua cabina; una volta mi ha confessato che non rinuncerebbe mai a questo momento: dorme meglio dopo essersi addormentata quindici minuti in braccio a me; sono felice e commosso allo stesso tempo; dopo che Jane è andata a dormire, rimango alzato altri cinque minuti e poi vado a letto anch’io.

Passiamo in questo modo tre giorni veramente splendidi.

Il quarto giorno Dick e Jane hanno delle cose urgenti da fare e quindi sono da solo. Forse è meglio così visto che oggi sono malinconico e di poca compagnia. Oggi è il mio compleanno. Io mio padrone non ne ha mai festeggiato uno; tempo fa provai a chiederlo e lui mi rise in faccia; da quel momento divengo malinconico ad ogni compleanno; ho perso anche l’abitudine di dirlo in giro, neanche Dick e Jane lo sanno. Sospiro guardando il mare; non ho voglia di veder nessuno. Rimango ad osservarlo alcune ore poi decido di tornare nella mia cabina. Non appena sono alla porta, l’odore di Dick e Jane raggiunge il mio naso insieme ad un odore di dolci; la mia malinconia lascia il posto ad una strana eccitazione. Apro la porta.

« Tanti auguri a te – intonano Dick e Jane appena apro la porta – Tanti auguri a te. Tanti auguri a BuonCuore. Tanti auguri a te. Viva! » applaudono.

Sono commosso: mi sta venendo da piangere. Un’enorme torta di compleanno si trova vicino a loro.

« Io… grazie » dico.

« Visto che bella – dice Dick – L’ha ordinata ieri Jane »

« Non gli ho detto che era per te, se no chissà quali schifezze ci mettevano dentro. Stamattina, con l’aiuto di Dick, l’abbiamo portata qua mentre tu non c’eri » dice Jane.

« Io… – dico impacciato – Non so cosa dire… Nessuno ha mai festeggiato il mio compleanno »

Jane rimane esterrefatta alla mia affermazione; Dick mi sembra più indignato.

« Come sarebbe a dire? – dice – Il compleanno è importantissimo! »

« Il mio padrone non la pensa così – dico – Mi ha anche riso in faccia quando glielo detto »

Anche Jane si indigna.

« Ma che stronzo! » si lascia scappare.

Dick non dice niente, ma so che sta pensando la stessa cosa. Forse è il caso che cambio argomento.

« Come avete saputo che era il mio compleanno? » chiedo.

I loro volti si rilassano.

« Quasi per caso – risponde Jane – Devi sapere che abbiamo la possibilità di inviare messaggi a terra tramite la radio di bordo; la cosa è strettamente regolata ma è possibile. Ieri ho mandato il mio messaggio a terra. Ho fatto un breve resoconto di come andavano le cose e ho chiesto di cercare di sapere quando era il tuo compleanno; volevo mandarti una cartolina d’auguri. Invece scopro che era oggi. Ho fatto i salti mortali per avvertire Dick e farti questa sorpresa. Mi sembrava doverosa »

« Indispensabile, dopo quanto ci hai detto – aggiunge Dick – Purtroppo non siamo riusciti a farti alcun regalo »

« La vostra amicizia è il più bel regalo » dico e li abbraccio.

Sto piangendo di gioia. Jane e Dick si stringono forte a me.

« Una sorpresa, però, siamo riusciti a fartela ugualmente – dice Dick – Un’altra oltre a questa, intendo »

« Cioè? » chiedo.

« Sono riuscita a convincere la sua tutrice a lasciami Dick anche per pranzo, così potremo festeggiare come si deve » dice Jane.

« È bellissimo » dico io quasi non credendo alle mie orecchie.

« Forse è il caso che spegni le candeline, prima che la torta si riempia di cera » dice Jane.

« Ricordati di esprimere un desiderio » aggiunge Dick.

Mi avvicino alla torta.

« Voglio che Dick e Jane restino miei amici per sempre » penso e spengo tutte le candeline in un soffio.

Dick e Jane applaudono. Dapprima mangiamo la torta, poi andiamo fuori a giocare. La malinconia mi è passata completamente.

A pranzo mangiamo nella mia cabina.

« Pancia mia fatti capanna! » pronuncia Dick vedendo la quantità di roba che ho ordinato.

Dopo pranzo ci facciamo una lunga passeggiata per digerire, in attesa di poter andare in piscina; questa volta non studiamo: Jane vuole per una volta accantonare lo studio; dice di avere un piano per la tutrice di Dick, ma non ce lo vuole rivelare. Il pomeriggio lo passiamo praticamente come gli altri giorni, con l’unica differenza che Dick e Jane non fanno proposte: vogliono che sia io a guidare la giornata; è il mio regalo, dicono.

A sera, mentre io tengo in braccio Dick per fargli osservare il tramonto, Jane si assenta dieci minuti. Quando torna ha un’aria felice è soddisfatta.

« Ho una sorpresa per entrambi – esordisce – il mio piano ha funzionato »

« Cioè? » diciamo all’unisono io e Dick.

« Beh, ho convinto un marinaio a portare la tutrice di Dick alla sala da ballo, questa sera. Come immaginavo lei non voleva mocciosi tra i piedi ed è stata ben felice di lasciarmi Dick. Ha detto di metterlo a letto alle dieci nella sua cabina, ma, dato l’interesse reciproco tra lei ed il marinaio, ho l’impressione che se anche facciamo mezzanotte non protesterà»

La notizia mi rende felice, ma Dick urla proprio di gioia; tenendosi attaccato a me si sporge per abbracciare Jane che subito si avvicina. Rimaniamo ad osservare il mare abbracciati fin quando il sole non tramonta. Ordiniamo la cena e poi, in attesa che sia pronta, racconto a Dick alcune storie; la mia mente pesca fuori tutte storie di mare e ben presto anche Jane si interessa ai miei racconti.

Durante la cena Dick mangia tantissimo: sembra voglia fare a gara con me su chi mangia di più.

« Ma non mangi da giorni? » scherza Jane.

« Quella mi tiene a stecchetto » risponde Dick a bocca piena.

Io rido.

Dopo cena ci facciamo una passeggiata: non possiamo andare alla Finestra sul Mare perché vicino alla sala da ballo e non vorremmo incontrare la tutrice di Dick; così cerchiamo un altro posto dove osservare il mare. Lo troviamo una mezz’ora dopo: non è splendido come la Finestra, ma si riesce ugualmente a vedere il mare in tutta la sua magnificenza. Jane dice di aspettarla che va a mettersi qualcosa di diverso. Penso di sapere quale vestito si metterà. Anche Dick dice di volersi andare a cambiare. Cinque minuti dopo li vedo tornare: Jane ha il solito vestito delle altre sere, Dick è solo in costume da bagno. Ha freddo: Jane sta cercando di riscaldarlo mentre lui trema. Si devono essere rivisti su questo ponte perché Jane gli sta chiedendo:

« Ma perché ti sei messo solo il costume da bagno? Stai gelando » la sua voce non ha la tonalità da rimprovero, anzi è molto dolce.

« Tu e BuonCuore siete sicuramente caldi » risponde Dick arrossendo lievemente.

Capisco immediatamente quello che quella frase ed il comportamento di Dick nascondono: gli manca il calore dell’abbraccio che, probabilmente, sua madre e suo padre gli davano la sera; quel piccolo dolce momento prima di addormentarsi; si vergognava a chiederlo esplicitamente e così ha pensato di avere freddo in modo tale che noi lo riscaldassimo; sapeva che non l’avremmo sgridato per il suo comportamento e sperava che così facendo gli dessimo quel calore che cercava. Jane impiega un attimo di più, ma poi capisce anche lei.

« La tua tutrice deve essere veramente acida – commenta – Però non serviva che sentissi tutto questo freddo: ti avremo abbracciato comunque »

Dick sorride, pur rimanendo ancora rosso in volto. Dopo un attimo si sono entrambi abbandonati al mio abbraccio. Dick è praticamente sprofondato nel mio pelo ed è stretto tra il mio corpo e quello di Jane. È felice. È al caldo ed è felice. Anche Jane è felice, felice di essersi abbandonata al mio abbraccio e felice di sentire Dick così vicino e felice. Ho bisogno di dire che sono felice anch’io? Ricomincio a narrare le mie storie di mare, usando una tonalità molto calma e profonda, cullante se si potesse dire. Dopo un po’ Dick e Jane dormono. Lascio dormire Jane venti minuti, poi la sveglio delicatamente. Jane sbadiglia e si stiracchia.

« Forse è il caso che porto a letto Dick e poi vada a letto anch’io » dice a bassa voce per non svegliarlo.

Lo guardiamo: Dick dorme profondamente, con un sorriso gioioso sulle labbra. Capisco che Jane non sa come portarlo via senza fargli sentire freddo.

« Ci penso io » dico a bassa voce.

Mi tolgo il gilè e lo uso per avvolgere Dick in modo da tenerlo al caldo. Lo do in braccio a Jane. Torniamo insieme alla mia cabina: Jane deve prendersi anche i vestiti di Dick. Durante la strada noto che Jane sorride dolcemente a Dick: le piace molto quel bambino.

« È dolce » mi sussurra quando siamo alla porta.

« Già » confermo io sorridendo a mia volta.

Preparo un fagotto contenente i vestiti di Dick.

« Ce la fai? » le chiedo.

« Legamelo sulla schiena » mi risponde.

Eseguo. Lei soppesa il carico.

« Perfetto – dice – Ci vediamo domani » e mi dà il bacio della buonanotte.

La osservo fin quando non sparisce oltre le scale, poi vado a letto.

« Giornata perfetta » penso prima di addormentarmi.


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