BuonCuore

Il giorno dopo mi sveglio con un leggero mal di testa: la branda mi è caduta addosso. Ma tu guarda. Cerco di levarmela di dosso… la scaravento dall’altra parte della stanza al minimo tocco. Si fracassa contro la parete opposta. Rimango un attimo perplesso, poi capisco che il mio corpo si è preparato al pericolo: la forza è aumentata, i riflessi sono pronti a scattare, i miei sensi sviluppati. Se il mio inconscio ha deciso di preparare il mio corpo lasciandomi all’oscuro, deve essere successo qualcosa d’improvviso e terribile. Mi alzo in piedi, mentre il mio inconscio provvede a darmi tutte le informazioni necessarie. Ci vogliono un paio di secondi per rendermi conto dell’accaduto: la nave sta affondando! Già la cabina è sotto di un bel po’; non è stata invasa dall’acqua perché, probabilmente, la porta è ermetica, ma non resisterà a lungo alla pressione. Il mio pensiero va immediatamente agli esseri umani: la nave sta affondando da diverso tempo, ma forse posso ancora aiutarli. Prendo un bel respiro: sono in grado di trattenere l’aria per un’ora sotto attività fisica; dovrebbe bastarmi. Apro la porta. Tra la mia forza e la pressione dell’acqua, essa viene scardinata. L’acqua si riversa all’interno della cabina. Esco. Devo dare un’occhiata ovunque. Inizio dal mio corridoio. La porta dell’officina è divelta ed è tutta invasa dall’acqua; non c’è nessuno dentro, per fortuna. Ma la cosa che mi stupisce è che non c’è più la sala macchine: al posto della zona vi è un enorme buco. Mi sembra strano che sia esplosa perché avrebbe coinvolto anche la mia cabina ed anche mezza nave; ma è altrettanto assurdo che qualcosa l’abbia strappata via. Non ho il tempo di indagare. Mi dirigo verso gli altri ponti. Sulla scala trovo il cancello chiuso a chiave. Perché è stato chiuso? Non di certo per fermare l’acqua. Per impedire a qualcuno di raggiungere i ponti superiori. Ma a chi? A me? Mi viene da ridere: divelgo le sbarre come fossero carta e proseguo. Continuo a girare per i vari ponti sommersi dall’acqua, cabina per cabina, anfratto per anfratto. Ben otto ponti passeggeri sono sommersi; considerando anche i ponti di servizio, più di metà dei ponti della nave sono sott’acqua: presto essa verrà risucchiata interamente. Non trovo nessuno e mi rendo conto che anche le scialuppe di salvataggio non ci sono più; forse sono riusciti a scappare. Raggiungo il primo ponte non ancora invaso dalle acque; prendo aria e mi scuoto; mi accorgo che è ancora notte; il fermarmi questo minuto già basta per far sì che l’acqua abbia già raggiunto le mie zampe. Sta affondando velocemente; stimo che ho cinque minuti, dieci se sono fortunato, prima dell’abbissamento completo. Devo muovermi in fretta, senza dar nulla per scontato; mi muovo velocemente tra i ponti rimanenti, continuando a cercare e non trovando nessuno. Sono contento: sembra che siano tutti riusciti a scappare… Mi giunge un odore conosciuto alle narici.

« Dick? » penso.

Annuso meglio l’aria. Si trova sull’ultimo ponte, quello della lancia di salvataggio; possibile che non sia ancora stata ammarata? E perché c’è solo il suo odore? Non c’è nessun altro sulla nave. Perché è lì da solo? Lo raggiungo. Non c’è la lancia di salvataggio; c’è solo Dick; da solo. Ha la guancia leggermente tumefatta, come se qualcuno gli avesse dato un pungo; si sta tenendo dove una volta c’era la lancia di salvataggio; si sta tenendo così forte che le sue mani sono bianche; guarda verso il mare scuro; il suo sguardo è un misto di incredulità ed orrore. Che diavolo è successo? Mi avvicino. Dick sembra non accorgersi di me.

« Dick » dico tentando di essere il più delicato possibile.

Sentendo pronunciare il suo nome, Dick ha un sussulto e si volta verso di me stupefatto; nel momento in cui mi vede, vedo nei suoi occhi accendersi la speranza; un attimo dopo mi salta in braccio e si stringe a me; lo tengo con le mani delicatamente, stringendo delicatamente il suo piccolo corpo e tenendo la sua testa appoggiata alla mia spalla; lui tiene il suo viso contro di me, come non volesse vedere nient’altro che me.

« Mi ha lasciato qui a morire » dice con voce impastata mentre sento le sue lacrime.

Vorrei fargli delle domande, ma non è il caso.

« Va tutto bene, Dick – gli dico – Sono qui per salvarti, non ti lascio »

Dick si stringe ancora più forte a me. Per lui ora sono come un salvagente in mezzo ad un mare in tempesta.

« Ascoltami Dick, dobbiamo abbandonare la nave » dico.

Lo sento annuire.

« Dobbiamo saltare in acqua – riprendo – Prendi più aria che puoi e trattieni il respiro. Fammi un cenno appena sei pronto »

Mentre parlo mi avvicino alla balaustra e guardo il mare sotto di noi. Sento Dick che gonfia e sgonfia il petto più e più volte profondamente, poi ispira profondamente e trattiene tenendosi a me. Capisco che è il segnale. Balzo oltre la balausta mentre prendo aria. La caduta è impressionante: nonostante la nave sia quasi affondata, tra l’ultimo ponte ed il mare ci saranno una ventina di metri. Dick non mostra alcun segno di paura: si fida ciecamente di me. L’impatto con l’acqua gelida è attutito dalle mie zampe. Affondiamo di diversi metri. Nuoto verso la superficie in diagonale: non voglio trovarmi vicino al gorgo quando la nave affonda. Appena riemergiamo sento Dick che butta fuori l’aria e la riaspira avidamente: doveva essere al limite.

« Va tutto bene, Dick, va tutto bene » cerco di rassicurarlo.

Lo sento annuire.

La situazione, purtroppo, è disperata: siamo soli in mezzo al nulla; la nave, affondando, ci ha portato fuori rotta completamente e Dick non resisterà a lungo, zuppo com’è di acqua ghiacciata. Continuo a nuotare cercando una qualsiasi cosa ci possa essere d’aiuto. Improvvisamente le mie orecchie captano un fischio lontano: c’è qualcuno che sta cercando dispersi; mi dirigo verso la fonte; sono ancora troppo lontano perché la mia voce possa giungere, ma arrivare lì probabilmente è la nostra sola speranza. Ci vogliono diversi minuti. Ad un certo punto Dick si scuote per levarsi un po’ di acqua fredda di dosso. Le sue mani sono fredde come il ghiaccio.

« Senti freddo? » gli chiedo.

« Un po’ – risponde – Ma ci sei tu. Questa è l’unica cosa importante »

Ha appoggiato a me tutte le sue speranze di salvezza.

« Ce la faremo » gli dico.

« Lo so » mi dice.

Lo stringo a me ed accelero l’andatura.

Ad un certo punto la vedo; pensavo di trovare le scialuppe di salvataggio, invece è un gommone; probabilmente un kit di emergenza attivato. Sopra c’è solo una ragazza che sta usando un fischietto per chiamare ed una una lampada per cercare nel buio. Strano che in un kit di emergenza non ci sia nulla di meglio di questi strumenti antiquati. Non appena sono a portata di voce, la riconosco: è Jane! Che ci fa lì da sola? Dove sono gli altri? Che ci fa su un kit di emergenza anziché un una scialuppa? Pensiamo a dopo alle domande.

« Jane! » la chiamo.

Sentendosi chiamare, Jane si volta rapidamente e mi punta la lampada in faccia, abbagliandomi.

« Scusa, scusa » dice abbassando la lampada, non appena si accorge della gaffe.

Mi ci vuole qualche istante per riprendermi. Mentre mi avvicino mi accorgo che Jane ha i capelli bagnati ed è avvolta in una coperta, mentre i suoi vestiti sono appoggiati ad un lato del gommone, probabilmente ad asciugarsi. Ci sta sorridendo; ha il sorriso di chi credeva ormai di essere rimasto solo ed incontra qualcuno. Non appena sono sotto il gommone, Jane prende in braccio Dick; solo sentendo le sue mani, Dick lascia la presa ferrea che teneva intorno a me. Jane lo porta a bordo.

« Va tutto bene? » gli chiede.

Dick annuisce. Jane si sporge e mi porge una mano per aiutarmi a salire. Non ce la farebbe mai, ma apprezzo il pensiero. Fingendomi di farmi aiutare, salgo anch’io sul gommone. Appena arrivato mi scuoto l’acqua gelida di dosso. Li schizzo leggermente. Li sento ridere.

« Meglio levarsi questi vestiti bagnati, prima di prendersi un malanno » dice Jane a Dick.

Lo spoglia, poggia i vestiti accanto ai suoi ed usa un asciugamano per dargli un’asciugata; poi lo accoglie sotto alla sua coperta. Si stringono a vicenda; Dick è praticamente in braccio a Jane ma il suo sguardo continua a restar fisso su di me.

« Sono così contenta di vedervi – dice Jane – Temevo di essere rimasta da sola. È più di un’ora che chiamo »

« Ora c’è BuonCuore – risponde Dick – Lui ci salverà entrambi »

« Grazie della fiducia » dico.

Non ho il cuore di dirgli che la situazione è critica. C’è un momento di silenzio.

« Qualcuno mi saprebbe dire cos’è successo? » chiedo e gli conto in breve quello che so, cioè niente.

Dick guarda Jane; entrambi capiamo che vuole che sia lei ad iniziare.

« Dunque – dice Jane – Mi sono svegliata perché sono caduta giù dal letto; anche le mie compagne di viaggio erano tutte per terra; ci stavamo ancora chiedendo che era successo, quando sentiamo del trambusto di fuori; affacciandoci abbiamo visto diversi marinai che correvano da una parte all’altra ed altra gente che si affacciava interrogativa. Abbiamo provato a fermare qualche marinaio, ma quelli sono stati piuttosto sbrigativi; ho capito che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di molto grosso. Sono andata a vestirmi, insieme alle mie compagne di viaggio, e poi siamo usciti ordinatamente, insieme agli altri passeggeri, e ci siamo diretti all’aperto. Non siamo riusciti a capire che succedeva per una mezz’ora, poi i marinai ci hanno chiesto a tutti di spostarci verso i ponti più alti, dove il capitano avrebbe dato un annuncio. Eravamo tantissimi. Il capitano fece il suo discorso:
“Abbiamo avuto un grave problema tecnico con la sala macchine; tanto grave che siamo stati costretti a minare la zona per distaccarla, quando la situazione giungerà al punto critico; nonostante abbiamo disattivato tutte le macchine, il problema si aggrava ogni minuto che passa. Onde evitare di saltare in aria, distaccheremo, quando sarà il momento, tutta la zona; ovviamente senza quel pezzo la nave è destinata ad affondare. Ho già chiamato i soccorsi, ma prima che arrivino dovremo lasciare la nave. Non fatevi prendere dal panico: siamo attrezzati per questa emergenza. Seguite le indicazioni che vi daranno i marinai. Abbiamo fatto in modo che la nave impieghi ore ad affondare. Ora tornate ai vostri ponti e seguite le indicazioni che vi verranno date”.
Il primo pensiero che mi è venuto in mente sei stato tu, BuonCuore. Tu avevi la cabina vicino alla sala macchine. Pensandoci adesso mi viene in mente che forse avresti potuto fare qualcosa od in ogni caso darci una mano, ma in quel momento ero solo preoccupata che non saltassi in aria. Ho cercato di farmi largo tra la folla per parlare col comandante; sono stata fermata da alcuni marinai. Ho cercato di spiegar loro la situazione. Per fartela breve, è stato il primo ufficiale a dirmi che aveva già mandato alcuni ad avvertirti. Ora ho visto come ti hanno avvertito… tornando a quei momenti, ho chiesto se potevo far qualcosa e mi è stato detto di tornare al mio ponte che forse un piccolo aiuto lo potevo dare. Molto gentile ed educato il primo ufficiale. Mentre tornavo al mio ponte, vedevo che i marinai buttavano a mare tutto ciò che era superfluo, compreso molte cose che venivano dalle cabine passeggeri. Sul mio ponte ho chiesto se potevo aiutare. I marinai volevano solo farmi abbandonare la nave, ma io sono nata testarda ed alla fine mi hanno assecondato: dovevo aiutare gli altri ad andare verso le scialuppe. Con le prime due scialuppe non ci sono stati problemi. Poi c’è stata l’esplosione; la nave venne sconquassata; ho visto una buona parte della poppa staccarsi di netto mentre sulla nave diveniva tutto buio; la nave si è inclinata. Ho visto i marinai arrivare con le luci. Poi c’è stato un botto enorme: la nave ha tremato come se si volesse spaccare; gigantesche onde sono arrivate fin sul ponte; qualcuno ha perso l’equilibrio; c’è stato del panico: qualcuno che urlava, qualcuno che mi urtava, le luci dei marinai che mi sembravano delle lucciole impazzite, poi… non lo so; non so come sia successo, ma mi sono ritrovata catapultata in aria; non ero caduta, era come se mi avessero afferrata e lanciata. Ho visto il mondo girare intorno a me per diversi secondi ed infine mi sono ritrovata in acqua. Non credevo di aver perso i sensi nell’impatto ma così deve essere stato perché intorno a me non c’era più nessuno, solo buio e silenzio; ho provato a nuotare dove sapevo che era la nave, ma non era più lì; stanotte è luna nuova e la nave era buia, ma io pensavo di sentire la gente parlare, qualsiasi segno di vita… Nulla. L’acqua era oltretutto ghiacciata ed ogni minuto che passavo lì immersa, rischiavo di assiderarmi. Stavo per farmi prendere dal panico quando ho trovato il kit di emergenza. Ho pensato che qualcuno della nave lo avesse gettato in acqua per aiutarmi. L’ho attivato e sono salita sul gommone. A tentoni ho trovato la lampada. La luce mi ha fatto subito sentir meglio e mi ha fatto anche accorgere che il kit è fasullo oppure non uscito bene dalla fabbrica, perché al suo interno non c’è quasi nulla di quello che hanno i kit di emergenza. Ma era pur sempre un modo per salvarmi. Mi sono tolta i vestiti bagnati, mi sono asciugata ed avvolta nella coperta; poi ho guardato fuori: non c’era nulla se non una scia sparsa di oggetti; nessuna traccia delle scialuppe; ho provato a chiamare: nessuna risposta; allora ho cercato ed ho trovato il fischietto; ho iniziato a chiamare con quello; ho chiamato per un’ora; ero terrorizzata di essere rimasta da sola in mezzo al nulla. Poi ti ho sentito chiamarmi. Il sentire la vostra voce ed il vedervi avvicinare a me è stato come il riaccendersi di una speranza. Sono così contenta che voi siate qua »

Finito di parlare Jane prende una mia mano e la porta alla sua guancia. L’accarezzo dolcemente. Posso solo immaginarmi il terrore che ha provato.

« Ti sono vicino » le dico.

Lei sorride.

« E tu Dick? Che ci facevi lì da solo? » chiedo dopo un minuto.

Dick tentenna un momento, poi prende un bel respiro e parla:

« Io mi sono svegliato trovandomi incastrato nella spondina del mio letto. È arrivata la mia tutrice, dicendomi che ero scemo, e mi ha liberato. Poi c’è stato il trambusto; la mia tutrice si è affacciata alla porta e dopo un attimo mi ha detto di vestirmi. Non l’avevo mai vista così preoccupata. Ho ubbidito. Lei è uscita dicendomi di aspettare. È rimasta fuori a lungo; quando è tornata mi ha detto di prepararmi perché dovevamo abbandonare la nave. Non mi ha detto il perché ma ho capito che non era il caso di chiederlo. Ho preparato le mie cose, i miei giocattoli, ma poi sono arrivati i marinai e, dicendo che dovevano alleggerire la nave, si sono presi tutto. Ho sentito la mia tutrice urlare come una pazza qualcosa riguardante le sue cose; dal finestrino ho visto cadere le mie cose e sparpagliarsi in acqua. Non so cosa ha fatto la mia tutrice, ma quando ho provato ad uscire, lei mi ha tirato dentro ed ha chiuso la porta.
“Ma non dovevamo abbandonare la nave?” ho chiesto.
“Più tardi. Ora rimani fermo e zitto!” fu la risposta.
Non so quanto tempo è passato, so che ad un certo punto c’è stata un’esplosione, la nave ha tremato e tutto è diventato buio. La nave si è inclinata e varie cose mi sono cadute addosso. Ho urlato. Ho ricevuto uno schiaffo in risposta. Poi si è accesa una luce. Era la mia tutrice con una lampada. Si è messa a tirar fuori un mucchio di valige. Poi c’è stato un botto enorme e la nave ha tremato come se si volesse spaccare. Ho urlato di nuovo. Ho ricevuto un altro schiaffo.
“Urla un’altra volta e ti imbavaglio!” ha detto.
Siamo rimasti lì a lungo. Io ero spaventato e non osavo parlare. Poi mi ha caricato di valige, tante e tutte pesanti, e mi ha spinto fuori. Ho visto l’acqua che stava arrivando. La mia tutrice mi ha dato un calcio per farmi muovere; anche lei era carica di valige.
“Muoviti se non vuoi affogare” mi ha detto.
Abbiamo iniziato a risalire i vari ponti; erano tutti bui e deserti. La mia tutrice mi spingeva avanti con la voce e con i calci. Se mi cadeva una delle valige, mi dava uno scappellotto, la raccoglieva e me la ridava.
“Se perdi anche una sola delle mie valige, ti do tali e tanti di quei pugni…” mi diceva e poi mi spingeva per mandarmi avanti.
Siamo arrivati all’ultimo ponte che ero più morto che vivo. Ho visto la mia tutrice pagare qualcuno, credo un marinaio, poi hanno iniziato a caricare i bagagli sulla barca. Io sono rimasto fermo a riposarmi. Infine ho visto il marinaio insieme alla mia tutrice salire sulla barca, così mi sono avvicinato. Ho sentito dire al marinaio:
“La lancia non può tenere il peso nostro, più quello di tutte queste valige, più quello del bambino, dovrai rinunciare a qualcosa”
“Se non c’è altra scelta” ha detto la mia tutrice.
Ho fatto per salire sulla barca; la mia tutrice mi ha colpito. Sono finito a terra e mi sono messo a piangere. Pensavo che la mia tutrice mi avesse colpito per errore, mentre toglieva una valigia, ma non era così. Mi sono reso conto di ciò, quando lei non è venuta a prendermi. Ho aperto gli occhi ed ho visto che la barca non c’era più. Mi sono affacciato e l’ho vista allontanarsi nel mare buio. In quel momento ho capito: tra una valigia e me, aveva scelto una valigia. Mi aveva lasciato lì a morire. Non… non so dire quanto tempo sono rimasto lì, so che ad un certo punto sei comparso tu. Sei stato come un raggio di luce nel buio. Eri comparso per salvarmi… non mi hai lasciato… »

Vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime, poi si lascia dall’abbraccio di Jane e mi abbraccia una zampa.

« Lei è un mostro. Non tu » dice e scoppia in pianto.

Lo accarezzo. Anche Jane si avvicina ed inizia ad accarezzarlo. Rimaniamo in silenzio fin quando Dick non si calma. Solleva la testa e mi guarda. Gli asciugo una lacrima.

« Andrà tutto bene » gli dico.

Dick sorride.

In quel momento il gommone si muove. Dick lancia uno strillo, Jane si stringe a lui.

« Calma, calma – dico – Non c’è alcun pericolo; è solo la nave che ha finito di affondare »

Infatti è così: la nave affondando ha fatto un grosso risucchio, ma noi siamo sufficientemente lontani.

« Vorrei dare un’occhiata a questo kit – proseguo – Poi direi di riprendere il sonno interrotto. Domani, con la luce del sole, sarà più facile muoverci »

Dick e Jane annuiscono. Prendo la lampada e do un’occhiata. Jane ha ragione a dire che è un kit di emergenza fasullo; cioè, per noi è la salvezza, ma non è un kit di emergenza di quelli di cui sono ormai dotati tutte le navi. È praticamente solo un gommone col motore fuori bordo in riserva; a parte ciò che ha trovato Jane, trovo un purificatore d’acqua privo di batteria; per fortuna il motore ad energia solare funziona: almeno il giorno avremo l’acqua; trovo una grossa tavoletta di cioccolata; se è grossa per me, è immensa per Dick e Jane. Ne do un pezzo ciascuno, almeno tengo un po’ su il morale. Il kit di emergenza non ha nient’altro: niente per ripararsi dal sole, dal vento o dalla pioggia, niente per comunicare, segnalare la nostra posizione o dirci dove ci troviamo; nulla.

« Allora? » chiedono Dick e Jane.

Vi devo confessare che la situazione è difficile – rispondo – Ma vi potrò meglio dire domani »

« Ma andrà tutto bene – dice Dick – Ci sei tu »

Sorrido.

« Ho detto difficile, non impossibile. Sono due parole diverse » gli dico.

Dick ricambia il sorriso.

Propongo di riprendere il sonno interrotto. Dick e Jane accettano. Si accoccolano accanto a me ed io inizio a narrare le mie storie di mare, fin quando non si addormentano. Nel frattempo il mio inconscio mi ha portato a conoscenza di dove ci troviamo. Siamo lontani da ogni rotta e l’isola più vicina è ad una settimana di distanza. Una settimana in mezzo al mare non è uno scherzo per gli esseri umani. Spero in un po’ di fortuna, domattina.

Il giorno presenta ai nostri occhi una distesa d’acqua infinita; siamo circondati da diversi oggetti lasciati dalla nave affondata. Così mi tuffo in acqua per vedere se trovo qualcosa di utile; trovo dei fogli di giornale che, una volta asciutti, potranno servire per farci dei cappelli; trovo del lucido da scarpe, alcuni pezzi di vetro ed altro con cui, spero, di riuscire a realizzare degli occhiali da sole di fortuna per proteggere Dick e Jane dal riverbero del sole; alcune cinghie che posso usare per trascinare il gommone (il motore ha troppa poca benzina per permetterci di arrivare all’isola); qualche utensile con cui realizzerò un fornetto solare per cuocere un po’ di pesce; incredibilmente ritrovo la crema solare ed il giocattolo preferito di Dick. Quando glielo mostro Dick non crede ai suoi occhi: è felicissimo.

Faccio in breve il punto della situazione.

« Spero non vi dispiaccia mangiare pesce, perché è l’unico cibo che potremo avere » concludo.

« Basta che non sia crudo » dice Dick.

Trattengo una risata.

« Costruirò un fornetto solare » spiego.

« Urca! » commenta.

Un’ora dopo ho messo la crema solare sia a Dick che a Jane, ho realizzato i cappelli e gli occhiali da sole, abbiamo fatto un po’ di scorta d’acqua e realizzato il fornetto solare. Lego le cinghie al gommone ed inizio a trascinarlo in direzione isola.

Passo la giornata a trascinare il gommone, intervallando con la pesca e tenendo un po’ di compagnia a Dick a Jane. Mangiamo una volta al giorno; il fornetto che ho costruito funziona molto bene: la luce, potenziata dal vetro fa aumentare la temperatura all’interno del fornetto; l’alluminio di cui è foderato rinfrange la luce e cuoce il cibo. È lento e funziona bene solo quando il sole è a picco, ma direi che può andare; il cibo non è molto saporoso, ma è buono. La sera ci accontentiamo della cioccolata. La notte racconto le mie storie di mare, fin quando Dick e Jane non si addormentano, poi tiro per qualche ora il gommone.

I primi tre giorni passano così; noia a parte, vanno abbastanza bene; Dick è quello che si annoia di meno: tra il suo giocattolo ed i miei racconti, qualcosa da fare trova sempre; Jane si annoia di più, ma cerca di non darlo a vedere. La sera del terzo giorno, mi accorgo che qualcosa non va; il mio inconscio ha attivato la modalità diagnostica dei miei occhi e mi accorgo che le condizioni fisiche di Dick e Jane stanno peggiorando. Anche se non se ne rendono conto, il sole li sta uccidendo. Il giorno dopo consiglio a Dick e Jane di mettersi sotto la coperta e cerco di dargli il più acqua possibile. Serve a poco: le condizioni peggiorano rapidamente; a pranzo hanno poco appetito e non sono più attivi; sorveglio attentamente le loro condizioni, ma non sono in grado di fare nulla. Un’ora dopo mi sento chiamare. Hanno sete; devo aiutarli a bere.

« Va tutto bene, vero? » mi chiedono Dick e Jane ed un istante dopo perdono conoscenza.

Sono dannatamente preoccupato ed avrei voglia di urlare, ma non mi devo far prendere dal panico. Li copro e torno a trascinare il gommone: la mia unica speranza è raggiungere l’isola il prima possibile. Mi fermo ogni ora per poter dar loro da bere; istintivamente riescono ancora a farlo, ma non so quanto a lungo possa durare. Sono dannatamente preoccupato. Trascino il gommone anche durante la notte. Il giorno dopo Dick e Jane hanno la febbre, hanno i brividi e sudano. Si disidratano velocemente: devo dargli da bere più spesso.

È vero che i guai non vengono mai da soli: all’ora di pranzo il motore del purificatore d’acqua si sfascia; vorrei piangere. Smonto il purificatore e recupero i filtri; ci vorrà più tempo, ma almeno potremo continuare ad avere l’acqua. Per fortuna avevo fatto un po’ di scorta. Quando provo a dargli da bere, Dick e Jane non ci riescono. Mi scappa un’imprecazione. Per fortuna so cosa fare in questi casi: riempio la mia bocca d’acqua ed infilo il muso nella loro bocca per far scendere l’acqua direttamente in gola. Devo far lentamente: i muscoli devono essere sollecitati ad ingoiare, altrimenti rischio di affogarli. Per fortuna sono svenuti, altrimenti gli verrebbe da vomitare.

Continuo a trascinare il gommone; il mio inconscio sta potenziando il mio corpo all’inverosimile per permettermi di mantenere un’alta velocità natatoria.

A sera Dick e Jane hanno la febbre altissima. Ho cercato di rinfrescarli usando un po’ d’acqua, ma serve a poco. Se continua così non ce la faranno. Hanno affidato tutte le loro speranze di sopravvivenza a me ed io non sono in grado di fare niente. Ruggisco la mia disperazione e torno a trascinare il gommone: se non raggiungo l’isola entro domani… No! Non voglio pensarci.

Il giorno appresso, quando il sole è alto, finalmente la vedo: sono riuscito a raggiungere l’isola in sei giorni circa. Forse non tutte le speranze sono perdute. Salgo sul gommone. Dick e Jane sono in condizioni gravissime, ma sono vivi. Accendo il motore del gommone. Riusciamo a raggiungere l’isola nel giro di cinque minuti. Nel momento in cui il gommone si spiaggia, afferro Dick e Jane e li porto all’ombra di uno degli alberi. Mi muovo velocemente tra i vari alberi e piante per recuperare tutto quello che mi può servire. Il preparato che riesco ad ottenere, dovrebbe servire allo scopo. Lo faccio bere a Dick e Jane. Sono due litri di roba che debbo fargli ingollare ed il sapore è tra i più schifosi. Per fortuna non possono sentirlo. Mi ci vuole un’ora. Inizia ad avere effetto pochi minuti dopo ed un’ora dopo Dick e Jane sono fuori pericolo; almeno momentaneamente. Hanno ancora la febbre, sono ancora svenuti e le loro condizioni fisiche sono pessime, ma sono fuori pericolo. Debbo solo aspettare i soccorsi. Spero non tardino troppo: benché qui abbia la possibilità di mantenere in vita Dick e Jane, loro hanno bisogno di cure vere. Vorrei dargli un po’ del mio sangue: il mio sistema immunitario li aiuterebbe; purtroppo non ho i mezzi per farlo. Non resta che aspettare: staranno sicuramente cercando i dispersi e non si arrenderanno facilmente, specie sapendo che ci sono io che posso aiutarli. Almeno è la mia speranza. Controllo costantemente le condizioni di Dick e Jane mentre i miei sensi sono al massimo per captare qualsiasi nave, elicottero od altro che possa passare da queste parti.

Grazie alle mie cure costanti, Dick e Jane migliorano ulteriormente: ora rispondono agli stimoli, sorridono quando percepiscono la mia presenza e riescono di nuovo a bere. Non c’è speranza che riprendano conoscenza, almeno fin quando permangono in queste condizioni. Accendo un fuoco: può essere utile per varie cose. Per dargli da mangiare, devo masticare io il cibo per conto loro… certi particolari forse è il caso che li ometto, se mai mi chiederanno cos’è successo in questi giorni. A sera le condizioni sono stabili.

A giorno ormai fatto, le mie orecchie captano qualcosa. Mi ci vuole un attimo per capire. È un elicottero. Forse sta cercando dispersi. Devo attirarlo da questa parte. Prendo la coperta e la infilo nel serbatoio del gommone. Gli do fuoco; salto a coprire col mio corpo Dick e Jane. Trenta secondi dopo, il motore esplode come una bomba, mandando schegge ovunque. Diverse schegge mi colpiscono. Il mio corpo era preparato e non mi faccio nulla; però bruciano. Quando sono sicuro che non vi è più pericolo per Dick e Jane, mi alzo. Il gommone è scomparso in un mare di fuoco. L’esplosione si dovrebbe essere sentita ed il fumo li dovrebbe attirare. Così è. Due minuti dopo sento il rumore farsi più vicino. Altri tre minuti e vedo arrivare un elicottero. È uno di quelli di soccorso. Perfetto. Gli faccio segno. L’elicottero si ferma sulla mia verticale.

« Ci sono persone da soccorrere! » grido.

Sono insicuro che possa sentirmi, così cerco di farmi capire a gesti. Il pilota mi guarda e poi guarda in direzione di Dick e Jane. Penso riesca a vederli. Comunica via radio. Perfetto. Adesso scendono e li portano in salvo. Adesso scendono. Adesso… perché stanno ancora fermi lì? Passano diversi minuti, poi la porta dell’elicottero si apre e mi gettano in testa una cassa. Mi scanso appena in tempo.

« Ehi! Fate più attenzione! » strillo mentre la cassa si fracassa per terra.

Conteneva medicine. Già, conteneva: si sono fracassate nell’impatto. Ma che diavolo gli è saltato in testa? Controllo tra i resti se si è salvato qualcosa: una bustina di sali minerali ed una siringa; il resto è distrutto. Sciolgo i sali minerali in acqua e do da bere a Dick e Jane; poi con la siringa prelevo del mio sangue e lo inietto prima a Dick e poi a Jane. Ho un ago solo, ma il mio sistema immunitario provvede anche a questi problemi. Come immaginavo la cosa funziona bene: la febbre passa e le condizioni di Dick e Jane migliorano. Certo, sarebbe meglio se quelli anziché guardarsi lo spettacolo, scendessero a darmi una mano. Continuo a controllare lo stato di salute di Dick e Jane. Quelli continuano a rimanere a guardare. Capisco che io non entrerei mai lì dentro insieme a Dick e Jane, ma non capisco perché debbano rimanere fermi lì. Potrebbero intanto portare via Dick e Jane, che hanno bisogno di cure, e poi tornare a prendermi. Invece rimangono lì.

Passano due ore e le mie orecchie captano il suono di un altro elicottero. Questo è più grande, decisamente più grande ed è in rapido avvicinamento. Un minuto dopo lo vedo: è a doppio rotore, è un elicottero di emergenza, uno di quelli adatti alle Creature Taurine. Un minuto dopo si è accostato all’altro elicottero. Vedo che parlano anche se non sento i loro discorsi. Non deve essere un discorso tranquillo perché vedo dei gestacci provenire dal primo elicottero. Dopo quasi un minuto di linguaggio colorito, il primo elicottero se ne va. Non appena si è allontanato, sull’altro elicottero si apre la portiera: salta giù una Creatura Taurina; la sua base è una pantera nera. Si avvicina a me e mi saluta battendosi un pugno sul petto.

« BuonCuore, presumo » dice sorridendomi.

Ricambio sorriso e saluto.

« PassoFelpato, presumo » rispondo.

Mentre parliamo altre persone scendono dall’elicottero e vanno a soccorrere Dick e Jane.

« Ero certo che li avresti aiutati » dice PassoFelpato porgendomi la mano.

« È stata anche fortuna » rispondo stringendola.

« Scusami un attimo » dice PassoFelpato e si avvicina agli uomini che stanno mettendo in barella Dick e Jane.

« Come stanno? » chiede.

« Meglio del previsto – risponde l’uomo – Se non fosse stato per BuonCuore… beh, forse non li avremo più rivisti »

PassoFelpato accarezza Jane con un sorriso dolce.

« Molto bene; sapete quello che dovete fare » dice, poi torna da me.

« Credo che non ti ringrazierò mai abbastanza » mi dice.

« Non c’è bisogno: ho fatto solo il mio dovere » rispondo.

« Lo so. Ma Jane è mia sorella »

« Lo so. A maggior ragione era necessario che la salvassi »

« Adesso i miei uomini porteranno su Dick e Jane e poi penseranno anche a te: un po’ di riposo te lo meriti »

« I tuoi uomini? Non sapevo che le Creature Taurine potessero essere a capo di esseri umani »

PassoFelpato sorride.

« Hai ancora il debito di vita, vero? » dice.

« Già »

« Beh, quando sarai libero scoprirai che anche le Creature Taurine hanno le stesse possibilità degli esseri umani »

« Temo non accadrà mai »

« Mai dire mai, BuonCuore. Comunque avremo un po’ di tempo per parlarne. A proposito, sai che è successo di tutto da quando c’è stata la chiamata di soccorso fino ad oggi? »

« Posso solo immaginarlo. A proposito, mi sai dire perché quelli dell’elicottero precedente non si sono degnati di scendere, anzi hanno fracassato una cassetta di medicinali pur di non scendere? »

PassoFelpato tira un sospiro.

« Perché c’eri tu – dice – La gente a volte sa essere matta »

« Ce l’avevano anche con te, dunque. Ho visto i gestacci »

« Hai intuito bene: erano rivolti a me »

Mentre parliamo, gli uomini hanno provveduto a spegnere il fuoco, raccogliere il resto dei medicinali e portare sull’elicottero Dick e Jane; poi si avvicinano a noi.

« Venite » ci dicono.

Andiamo sotto l’elicottero. Ci legano con delle cinghie e ci tirano a bordo. Dentro ci sono Dick e Jane sdraiati su due letti. PassoFelpato mi fa accomodare vicino a loro. Mentre mi sto accucciando, sento la coda che mi viene afferrata. È Dick. L’ha presa nel sonno. Sorrido.

« Si è affezionato molto a te, quel bambino » dice PassoFelpato accomodandosi di fronte a me.

« Già. Ma penso che vorrà raccontarne lui stesso il motivo » rispondo.

« Ora riposati. Penso che anche tu ne avrai bisogno »

Mentre l’elicottero si muove, il mio inconscio disattiva tutti i potenziamenti ed in breve la stanchezza si fa sentire. Mi addormento senza accorgermene.

Mi risveglio su un grande letto. Mi ci devono aver portato mentre dormivo. Mi guardo intorno. Accanto a me ci sono due letti con Dick e Jane. Sono svegli e stanno parlando con delle persone, penso i loro genitori. Anche PassoFelpato è vicino a Jane. Accanto a me non c’è nessuno: il mio padrone non deve aver pensato che fosse una cosa carina venirmi a trovare. Pazienza. Sospiro.

« Si è svegliato » dicono Dick e Jane all’unisono.

Mi volto nella loro direzione. Mi stanno salutando; ricambio il saluto. PassoFelpato ed i genitori di Dick e Jane si avvicinano a me. I primi a parlare sono i genitori di Dick:

« Ha salvato nostro figlio. Non la ringrazieremo mai abbastanza »

« Ho fatto solo il mio dovere – rispondo – Il sorriso di Dick è il miglior ringraziamento »

« Grazie per averci riportato nostra figlia viva – dicono i genitori di Jane – Cosa possiamo fare per sdebitarci? »

« Non avete bisogno di sdebitarvi: il sorriso di Jane mi basta »

« Senta – dicono i genitori di Dick – forse le sembrerà una richiesta strana, ma… se avessimo bisogno di un tutore per Dick, lei sarebbe disponibile? »

« Sì, sì, sì » sento dire a Dick.

« Io ne sarei più che onorato – rispondo – Ma bisogna sentire il mio padrone… e lui mi affitta a caro prezzo »

Dick sbuffa.

« A proposito del tuo padrone – mi dice PassoFelpato – Lo abbiamo sentito: ha semplicemente detto di rimandarti a casa il prima possibile; si è anche lamentato del fatto che tu sicuramente rimarrai qui fino a completa guarigione dei due che hai salvato »

Sorrido. Il mio padrone mi conosce bene. Sento Dick battere le mani contento.

« A proposito di Dick e Jane: che hanno detto i medici? » chiedo.

« Che hai fatto un ottimo lavoro – mi risponde PassoFelpato – Dovranno rimanere a letto un paio di giorni e poi potranno alzarsi. Dicono che dovrebbero dimetterli in una settimana »

Sorrido a Dick e Jane che ricambiano. Mi stiracchio e mi alzo. Sto molto bene.

« Penso che rimarrò una settimana qui anch’io » dico.

« Come volevasi dimostrare » dice PassoFelpato divertito.

Dick e Jane ridono. Mi avvicino a loro. Ognuno allunga una mano. Le prendo entrambe accucciandomi accanto a loro.

« Non so voi ma io sarei curioso di sapere cosa è successo quando ci siamo separati dagli altri durante l’affondamento della nave » dico.

« Noi di più » dice Dick.

« PassoFelpato ci ha accennato qualcosa, ma per il discorso principale abbiamo aspettato che fossi sveglio anche tu » dice Jane.

« Ho dormito così tanto? » chiedo.

« Mezz’ora più di noi » mi rispondono in contemporanea Dick e Jane sorridendo.

« Allora – dice PassoFelpato – Vediamo di farvi un veloce resoconto: quando sono stati chiamati i soccorsi, hanno provveduto ad avvertire i vari parenti e conoscenti. Siamo dunque arrivati lì che era giorno fatto; mezz’ora dopo i soccorsi portavano al molo i passeggeri della nave. C’è voluto un po’ di tempo per capire cos’era successo. Praticamente hanno avuto un guasto in sala macchine: pressione e temperatura delle macchine hanno iniziato ad aumentare sempre di più; anche a macchine spente, anche se più lentamente. Ad un certo punto hanno capito che non c’era più niente da fare; per l’esattezza quando alcune giunture dei tubi hanno iniziato a saltare e la nave è stata sconquassata. Non so cosa abbiano fatto per rallentare il peggioramento, però hanno capito che non c’era più speranza per la nave; così hanno chiamato i soccorsi ed hanno abbandonato la nave »

« Hanno distaccato la sala macchine facendo saltare in aria la zona – interviene Jane – Lo ha detto il capitano »

« Lasciando dentro BuonCuore » aggiunge Dick.

« Sì, lo so. Me lo avete già detto – dice PassoFelpato in tono dolce – Nel casino che è successo durante l’abbandono della nave, ci sono stati dei dispersi. Tre persone, ha detto il capitano; quattro, lo ha corretto il primo ufficiale. Erano Dick, Jane e la tutrice di Dick, anche se chiamarla strega sarebbe meglio »

« Condivido » dice Dick.

« La quarta persona era ovviamente BuonCuore, anche se il capitano si rifiuta di chiamare noi Creature Taurine persone – continua PassoFelpato – Mentre stavamo ancora cercando di capire che era accaduto, arriva la tutrice di Dick. Se ne esce fuori con un’assurda storia in cui un mostro si è portato via Dick, impedendole di salvarlo. Il mostro in questione sarebbe BuonCuore. Interessante è stata la reazione di due marinai: hanno detto che non era possibile perché loro avevano provveduto a rinchiuderti nella tua cabina e lì ti avevano lasciato; lei prova a dire che ti eri liberato e loro hanno detto che si sono assicurati che tu non lasciasti la nave »

« Tipini a modo » commenta Jane.

« Da quel momento è successo un bordello – prosegue PassoFelpato – Il primo ufficiale che è rimasto inorridito dal comportamento dei due marinai, dal fatto che avessero condannato a morte un passeggero che era loro affidato; quelli che si giustificano che eri una Creatura Taurina e che quindi ti eri sicuramente salvato; la ex-tutrice di Dick che continuava ad accusarti; il primo ufficiale che non voleva sentir ragioni sul comportamento tenuto; è arrivato anche il capitano… Ah già, devi prima sapere che la lancia di salvataggio era approntata per raccogliere il primo ufficiale ed il capitano per guidare le altre scialuppe. Immaginati la sorpresa nel non trovarla in testa alle scialuppe ed invece trovarla con tutte le valige della tutrice di Dick, con un tal peso che era al limite dell’affondamento. Immaginatevi altresì il casino appena si è sparsa la voce di quello che era successo con la compagnia: l’abbandono di un bambino e l’intrappolamento di un altro passeggero; non ti immagini le più grandi dicerie su che fine poteva aver fatto Jane; aggiungici la compagnia che cerca di ricorrere ai ripari, la strega che continuava ad urlare che era colpa di BuonCuore, il primo ufficiale arrabbiato nero… un macello che non potete neanche immaginare »

« Veramente credo di riuscirci benissimo » dico.

Dick e Jane si stanno spanciando dalle risate ad immaginarsi la scena.

« Eh lo so – dice PassoFelpato – adesso sembra divertente. Ma allora no; i miei genitori e quelli di Dick erano preoccupatissimi per la vostra sorte. Li ho rincuorati: il destino aveva voluto che Dick e Jane fossero insieme a BuonCuore; questo significava che vi avremo trovati vivi; non so in che condizioni; non so quando; ma vivi sicuro »

« Beh, sono stato anche fortunato » dico.

« Quanti esseri umani sono deceduti in presenza di una Creatura Taurina? » mi chiede PassoFelpato.

« Nessuno » rispondo.

« Allora vuol dire che siamo anche dei potenti portafortuna » dice PassoFelpato divertito.

Dick e Jane si stringono a me. Sorrido loro.

« Dove ero rimasto? – riprende PassoFelpato – Ah, sì. Ho rincuorato i miei genitori e quelli di Dick e poi ho messo in moto la macchina dei soccorsi. La situazione era complicata dal fatto che la nave si trovava in una zona piena di forti correnti; aveva percorso chilometri mentre affondava e noi non sapevamo in che momento l’aveste abbandonata. Dopo tre giorni di vane ricerche c’era chi aveva abbandonato l’idea di ritrovarvi. Io no. La mia squadra nemmeno. Ho fatto il diavolo a quattro per convincere gli altri a continuare a cercarvi. Sapevo che ti saresti diretto in una qualche isola, anche se non sapevo in quale, né in che punto eri. Finalmente ieri ricevo il messaggio che vi avevano trovati. Il resto puoi immaginare come è andato »

« Ora tocca a te – mi dice Jane – Dopo che siamo svenuti, che cosa è successo? »

Racconto loro tutto, omettendo i particolari di come sono riuscito a dargli da bere e da mangiare.

« Come hai fatto a dissetarci ed a sfamarci? » chiede Dick più curioso che mai.

« Non credo sia meglio che scenda in questi dettagli » rispondo.

Probabilmente intuiscono perché fanno una smorfia schifata.

« Beh, comunque sia, grazie » mi dice Jane.

Dick appoggia la sua testa su di me, contento.

Passo una settimana con loro; come avevano detto i medici, Dick e Jane sono costretti a stare a letto due giorni; il primo giorno in cui provano ad alzarsi, dopo mezz’ora già non ce la fanno più; tuttavia si rafforzano rapidamente. Dick è tutto contento di avermi accanto, non mi vuole lasciare un istante; anche a Jane si è affezionato ma con me ha un rapporto più profondo perché gli ho salvato la vita. Cerca ogni tanto di convincere i suoi genitori a prendermi come tutore. Alla fine, posto che il mio padrone poi sia d’accordo, acconsento ad avermi come tutore durante le vacanze; apprendo infatti che i genitori di Dick hanno un lavoro che non gli permette di assentarsi a lungo e quindi Dick passa sempre le vacanze insieme ad un qualche tutore o tutrice. Dick fa i salti di gioia quando apprende che, forse, sarò il suo tutore ad ogni vacanza. Gli ricordo che bisogna sentire anche il mio padrone, ma Dick è fiducioso.

Jane è felicissima di poter passare del tempo insieme a me ed a suo fratello e se stiamo insieme è ancora più contenta. Anche lei si è affezionata a Dick e passano diverso tempo volentieri insieme.

Il primo ufficiale ci viene a trovare poco prima di essere dimessi; è contento di vedere che stiamo bene e ci chiede ancora scusa per il comportamento dei suoi marinai. Apprendiamo che è divenuto capitano e, se un giorno saliremo su una sua nave, si assicurerà che saremo trattati con tutti gli onori. Gli brucia ancora di come si è svolta la storia. Noi gli diciamo di non preoccuparsi.

Infine viene il momento di separarci; ci scambiamo gli indirizzi ed i contatti vari con la promessa di rincontrarci e soprattutto di rimanere in contatto e di comunicare tempestivamente qualsiasi cambiamento. Alla fine torno a casa.


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