Melody ed il Segreto delle Arti Marziali

Adesso

Nella piazza di allenamento antistante il Tempio di Lung, Tippi, con indosso una tuta blu, si sta allenando con un procione. Egli indossa un changpao con ricamato sopra il simbolo del Trio Drago; avendo i piedi da procione, non indossa calzature. I suoi occhi neri esprimono sia gentilezza che forza. Sia lui che Tippi sorridono divertiti mentre si scambiano colpi su colpi. Tippi cerca di colpirlo con pugni e calci, saltando per tutta la piazza e cercando di coglierlo di sorpresa. Il procione, con le mani dietro la schiena, si limita a schivare i suoi colpi od a pararli con la coda.

«Forza Tippi – dice il Procione – tutti e cinque i sensi devi usare: udito, olfatto, tatto…»

«E come si fa ad usare il gusto? – dice Tippi mentre compie un salto acrobatico nel vano tentativo di riuscire a colpire il procione – La devo mordere?»

«Potrebbe essere un tentativo – risponde il procione evitando con eleganza l’attacco – ma no. Il gusto lo usi come il tatto. Il vento porta informazioni. Può portare suoni ed odori. Ma porta anche sensazioni che puoi captare con la pelle od il pelo oppure…»

«In certi casi può portare anche sapori» conclude Tippi.

«Ottimo, ragazzo. Impari in fretta. Ed ora mostrami qualcosa che non ho ancora visto»

Tippi si ferma un istante e poi spicca un salto altissimo e si lancia sul procione che salta a sua volta e si scambiano colpi in aria. Poi Tippi non sa come, ma si ritrova in braccio al procione che atterra dolcemente.

«Per ora basta – dice poggiando Tippi a terra – Devo dire che sei migliorato»

«Grazie Maestro – dice Tippi mettendo il Pugno destro sulla mano sinistra ed inchinandosi – Quando passeremo alla prossima fase?»

«Quando avrai superato la giostra dei bastoni rotanti»

Tippi si volge verso un angolo della piazza dove si trovano una serie di cilindri con attaccati dei bastoni a diverse altezze. Ogni cilindro è composto da diverse sezioni che ruotano indipendentemente ed è impossibile passare lì in mezzo senza toccare i bastoni.

«Ok – dice Tippi – All’attacco!»

Si lancia in mezzo ed i bastoni iniziano a ruotare. Tippi schiva, para e… PEM! Viene lanciato via! Si rialza, osserva la giostra e torna alla carica. Schiva, para e… PEM! Ci riprova: schiva, para e… PEM!

Il Maestro osserva i tentativi di Tippi senza dire una parola.

«Maestro» lo chiama una voce alle sue spalle.

«Dimmi Tai» risponde lui volgendo le orecchie verso di lei.

Dietro di lui c’è una tigre ed un serpente. Entrambi femmine. Il serpente indossa solo alcuni ornamenti sulla testa, che fanno sembrare che abbia dei capelli raccolti, e un collarino con appeso un ciondolo con disegnati sopra il simbolo del Trio Drago sormontato dall’orma della zampa di un procione. È un serpente giallo, una vipera dalle lunghe ciglia, molto lungo, tra i tre ed i quattro metri, con due occhi azzurri che tradiscono molta dolcezza. Se ne sta lì con la testa sollevata all’altezza dell’anca della tigre, immobile; sembra una statua se non fosse per la lingua biforcuta che ogni tanto schizza fuori dalla bocca. La tigre indossa una casacca arancione con abbottonatura laterale, priva di maniche, ed un paio di pantaloncini lunghi poco sotto il ginocchio, attillati di colore scuro tendenti al nero. I suoi piedi sono da tigre e quindi non indossa calzature. Sulla casacca all’altezza del cuore è ricamato in piccolo il simbolo del Trio Drago sormontato dall’orma della zampa di un procione. La tigre è alta e robusta, con fasce di muscoli che gridano forza pura, eppure dannatamente femminile, con fondo-schiena alto e sodo, fianchi stretti e seno ampio, florido e sodo che sembra strabordare dall’ampia scollatura della casacca. Tai, questo è il nome della tigre, ha gli occhi di un blu profondo ed uno sguardo fiero e serio ma a suo modo dolce e pacato. Tiene ancora le braccia in posizione di saluto mentre parla.

«È sicuro che Tippi sia la persona giusta?» chiede.

«Assolutamente»

«È ancora un bambino»

«Ma è molto più in gamba di quello che sembra. È giunto il momento per Melody di tornare a casa e Tippi non dovrà faticare a convincerla. E poi tu hai iniziato alla sua stessa età e, se non sbaglio, per te è stato un momento importante»

«Avete ragione, Maestro, mi sono sentita apprezzata e sarà così anche per Tippi – sorride osservandolo mentre il suo sguardo si ammorbidisce – Scusate la domanda»

«Non ti devi mai scusare di aver fatto una domanda. Per quanto stupida possa essere, non lo era per te e fai bene a toglierti i dubbi. Quante volte te lo detto?»

«Almeno una per ogni giorno che sono stata con lei»

«E te lo dirò ancora. Ma ora dimmi: a che punto è?»

«Quasi pronta» risponde il serpente.

«Bene, Vaja. Fammi un cenno appena pronta e manderò Tippi in missione»

«Sarà fatto a breve»

«Ci conto»

Le due se ne vanno. Il Maestro continua ad osservare Tippi che continua a schivare, parare e… volare via!

Mezz’ora dopo Vaja striscia sul cornicione posto sulla sommità del Tempio di Lung ed agita la coda per farsi vedere dal Maestro. Il procione annuisce e si avvicina a Tippi che, ansimante, si lancia di nuovo contro la giostra e… vola via! Il Maestro lo prende al volo.

«Basta così, Tippi» gli dice.

«Uffa! È difficile!» si lamenta il coniglietto con le orecchie basse.

«Se non lo fosse, non servirebbe. Ma se vuoi un consiglio, devi anche imparare a fermarti e tornare indietro»

Tippi fa per rispondere ma il Maestro lo zittisce alzando un dito.

«Non è il momento – dice – Ora devi andare a farti un bagno e darti una sistemata. Poi raggiungimi alla sala da tè: devo darti una missione»

Le orecchie di Tippi si drizzano.

«Davvero? La mia prima missione?»

«Sì ed è pure importante, quindi…»

«Sarò in forma smagliante!» dice Tippi allegro, dimentico della fatica.

Salta a terra ed in tre balzi è dentro al tempio.

Più tardi Tippi entra nella sala da tè dove il Maestro lo sta aspettando. Il coniglietto si è tirato a lucido per l’occasione e, pur manifestando una certa emozione, segue le regole convenzionali: si china al Maestro e va a sedersi sul cuscino di fronte al tavolo. Senza dire una parola, il Maestro prende il bricco del tè, lo versa nella tazza di Tippi e poi nella sua. Entrambi sollevano la tazza, la rigirano tra le mani e bevono un sorso. La poggiano.

«Bene Tippi – dice il Maestro – Ti ricordi di Melody?»

Tippi annuisce.

«E chi se la scorda?» aggiunge sorridendo.

«Ottimo. Dovrai andarla a prendere – a quelle parole Tippi lo guarda stupito – È stata vista nei boschi a nord-est. Andrai lì, la cercherai, la troverai e la riporterai a casa. È chiaro?»

«Sì, Maestro. Ma lei vorrà tornare?»

«Tuo è il compito di convincerla – beve – La missione è molto importante, Tippi, quindi ti voglio in perfetta forma»

Tippi sorride raggiante.

«Partirò tra un’ora» dice un attimo prima di bere il suo tè.

«Giusta risposta» dice il Maestro sorridendo a sua volta.

Un’ora dopo Tippi, con uno zainetto leggero sulle spalle, è di fronte alla scalinata del Tempio di Lung.

«Vado, trovo e torno – dice salutando il Maestro – Vedrete: sarete orgoglioso di me»

Si chinano l’un l’altro e poi Tippi saltella giù dalle scale.

«Lo sono già» dice il Maestro mentre Tippi è già un puntino all’orizzonte.

Due giorni dopo, in una radura, sta Melody. Indossa un abito blu da viaggio, dotato di diverse tasche, con la gonna a frange che le arriva a metà coscia. Pur essendo a maniche corte, lascia scoperta la parte superiore della schiena e del petto, mettendo in evidenza un buon seno. Completa il tutto una cintura nera con la fibbia in simil-argento ed un mantello blu che Melody sta finendo di arrotolare. Ai piedi indossa i soliti saldali con le cinghie che arrivano al polpaccio. Uno zaino aperto giace nelle vicinanze di un fuoco circondato da pietre dove, appeso a dei bastoni, stanno arrostendo degli spiedini di soia e tofu. Melody si avvicina per controllarli, quando gira le orecchie. Si volta ed annusa l’aria mentre la con la coda sposta gli spiedini per evitare che brucino.

«Tippi?» esclama.

Spicca un balzo raggiungendo i rami dell’albero e saltando di ramo in ramo raggiunge un sentiero poco distante. Lì si trovano cinque banditi lucertole, due smilzi, due medi ed una grossa che sta tenendo per le orecchie Tippi. I banditi indossano maglie e pantaloni neri, così come gli stivali. I due smilzi hanno dei coltellacci alla cintura mentre altre due armi non più riconoscibili, giacciono frantumate ai loro piedi. I due medi possiedono delle spade corte; uno di loro ha un occhio pesto. La più grossa ha una mannaia ad una cintura mentre un’ascia giace spezzata ai suoi piedi. Tippi, immobilizzato per le orecchie, sta tirando pugni e calci all’aria mentre la lucertola lo tiene lontano da sé e gli altri.

«Piccola bestia, vedi di star fermo. Vogliamo solo prendere la tua pelliccia» dice la lucertola grande.

«Se pensi che mi lasci scuoiare senza difendermi, se in errore, ciccione – risponde Tippi serio – Mollami le orecchie e ti faccio vedere io»

«Immobilizzalo!» dice la lucertola porgendo Tippi ad una delle lucertole medie (quella con l’occhio buono).

Ma Tippi ruota su se stesso e molla una doppio calcio sul naso. La lucertola indietreggia imprecando.

«D’accordo – dice la lucertola grossa – visto che ti piace soffrire… Portatemi il punteruolo arroventato: lo scuoiamo vivo!»

Ma prima che qualcuno si muova, una folata di vento attraversa il gruppo, la lucertola grossa senta la sua mano venir colpita e Tippi è sparito!

«Ma che…?» fanno tutti.

Poi si voltano: Melody è lì, a tre passi di distanza, con Tippi in braccio.

«Perché non ve la prendete con qualcuno di più grande?» dice seria.

«Tu, per esempio? – risponde la lucertola – In effetti sei più interessante: bel corpo, bella pelliccia e forse possiedi anche qualcosa di prezioso. Ma perché rinunciare al coniglietto quando possiamo avere entrambi? Addosso ragazzi!»

Melody sorride feroce, lancia Tippi in aria, che prontamente atterra su un ramo, e si lancia verso i banditi. I banditi sono a malapena riusciti a fare un passo quando Melody li è addosso. Con un calcio solo stende i due smilzi, si sposta alle spalle dei due medi e con un colpo di taglio alla base del collo li fa stramazzare al suolo. La lucertola grossa fa per usare la mannaia ma Melody gli torce il polso facendogli cadere l’arma, gli molla un forte uppercut facendolo barcollare, lo fa inciampare sulla coda e, prima che cada a terra, lo afferra, lo ruota e lo scaglia in aria. Melody salta anche lei, gli torce le braccia all’indietro, preme i suoi piedi sulla schiena e lo spatafascia al suolo! Quando la nube si dirada, Melody è ancora in piedi sulla lucertola grossa; un piede sulla schiena ed un altro sulla testa.

«Adesso ascoltatemi bene perché non lo ripeterò: abbandonate il brigantaggio e trovatevi un lavoro onesto o la prossima volta non sarò così clemente. È chiaro?»

«Sì, sì» dicono tutte le lucertole.

Melody scende a terra e si allontana di tre passi. Le lucertole si rialzano barcollando.

«Ed ora sparite dalla mia vista, prima che cambi idea!» dice Melody seria.

Le lucertole fuggono abbandonando le armi. Non appena sono fuori vista, i lineamenti di Melody tornano ad essere dolci e delicati. Sorride, spicca un salto ed atterra seduta su un ramo dove è Tippi.

«Tutto a posto?» gli chiede.

«Alla perfezione. Sei stata assolutamente fantastica: gli hai stesi tutti senza che loro riuscissero nemmeno a vederti. Ma anch’io ho dato loro parecchio filo da torcere, sai?»

«Lo immagino: sei allievo del Maestro Ravinger»

«Come lo sai?»

Melody indica il piccolo ricamo sulla parte alta a sinistra della tuta, rappresentante il simbolo del Trio Drago sormontato dall’orma della zampa di un procione.

«Ah già!» dice Tippi.

«Allora, da quanto ti seguivano?»

«Da qualche ora: ho rotto tutte le loro trappole, gli ho dato un sacco di botte e sarei anche riuscito a sconfiggerli, se non mi avessero preso per le orecchie – se le afferra – Non riesco ancora a liberarmi quando qualcuno mi prende per le orecchie» se le tira.

Melody si porta una mano alla bocca per nascondere il fatto che le sta venendo da ridere.

Tippi la guarda per un istante.

«E ridi!» dice saltandole in braccio e facendole il solletico.

Melody ride: una risata cristallina.

«Quanto mi mancava!» dice Tippi abbracciandola.

Melody ricambia l’abbraccio, grattandolo dietro le orecchie.

«Adesso me lo dici cosa ci fai da queste parti?» chiede Melody dopo un po’ di silenzio.

«Cercavo te!»

«Bene! Mi hai trovata! Che ne dici di continuare la conversazione mangiando qualcosa?»

Tippi annuisce.

Poco dopo, alla radura dove Melody ha fatto campo, lei e Tippi si stanno gustando gli spiedini.

«Sempre fantastici» commenta il coniglietto.

«Non parlare a bocca piena o ti affoghi» lo reguardisce Melody.

Tippi mastica ed ingoia.

«Allora – dice – Come è andata in tutto questo tempo?»

«Benissimo – risponde Melody dopo aver ingoiato il suo boccone – Ho imparato un sacco di nuovi numeri, visitato un sacco di posti e mi sono divertita. Ci sono stati alti e bassi ma tutto sommato sono stata bene. E come hai visto, ho anche continuato ad allenarmi. Ora la compagnia si è sciolta e così… E tu? Perché mi cercavi?»

«Sono venuto a prenderti: ti riaccompagno a casa. Mi manchi da troppo: è giunto il momento di tornare»

Melody si commuove alle parole del coniglietto: i suoi occhi diventano lucidi.

«Perché piangi?» chiede Tippi guardandola.

«Non piango – risponde lei asciugandosi gli occhi – È solo che… niente! Avevo intenzione di visitare un paio di posti prima, ma visto che sei venuto a prendermi, andiamo a casa»

Svolge il mantello, lo mette davanti al fuoco ed allo zaino.

«Uno… Due… Tre!»

Toglie il mantello e lo zaino è preparato ed il fuoco spento.

«Wow!» commenta Tippi.

Melody si mette lo zaino ed il mantello sulle spalle e porge la mano a Tippi.

«Andiamo?» chiede.

«Andiamo!» risponde il coniglietto prendendole la mano.

Più raggiante che mai, inizia ad accompagnarla verso casa.

Una mattina arrivano a Rocciasalda. Mentre camminano per le vie, tutti si voltano a guardarli. Melody sorride a tutti mentre si guarda intorno curiosa come una bambina. In tanti la riconoscono ed accennano un saluto, prontamente ricambiato. Giunti al Tempio di Lung vengono accolti da Tai e Vaja. Entrambi sorridono: sorrisi sinceri di chi vede un’amica dopo tanto tempo.

«Bentornata» esclamano.

«Tai!» strilla Melody correndo ad abbracciare la tigre.

La stringe forte a sé premendo il volto sulla sua spalla mentre la tigre si irrigidisce come un pezzo di marmo. Sta per dire qualcosa quando sente le lacrime di Melody bagnarle il pelo. Sorride e si rilassa.

«La piagnona del gruppo» dice accarezzandole la testa.

«Non è vero!» dice lei scuotendo la testa ma continuando a piangere.

Dopo un momento si riprende, si volta verso il serpente ed allarga le braccia.

«Vaja!» dice.

«Io non ho problemi ad abbracciare» risponde Vaja.

«Avvolgere» commenta la tigre mentre il serpente si arrotola su Melody.

La gatta stringe la testa di Vaja alla sua e ci si strofina contro. Un paio di lacrime cadono sul muso del serpente.

«A me non saluti?» chiede il procione non appena Vaja e Melody si sono lasciate.

«Maestro Ravinger» risponde la gatta mettendo il pugno sinistro nella mano destra ed inchinandosi.

Il Maestro ricambia l’inchino.

Melody si guarda per un attimo intorno.

«Maestro Saek?» chiede infine.

«Non è più qui – risponde Maestro Ravinger – Quasi due anni fa ha fatto fagotto e se ne andato»

«Oh, mi dispiace»

«Non è vero. Non dire bugie»

«Non dico bugie – dice Melody portandosi una mano al petto – Ho sempre avuto rispetto per il mio Maestro. Lui non lo aveva per me ma io lo avevo per lui. In virtù del rispetto che gli porto, mi dispiace che se ne sia andato. Personalmente parlando, son contenta che se ne sia andato»

«Ecco la Melody che conosco – dice Maestro Ravinger sorridendo – Tai, Vaja, mostrate a Melody quanto abbiamo preparato per il suo ritorno. Per il resto ci sarà tempo: ora deve di nuovo sentirsi a casa»

«Sì Maestro» rispondono le due.

Poco dopo le tre camminano per i corridoi del Tempio di Lung fino a giungere ad una porta scorrevole. L’intelaiatura è di legno e diversi pannelli di compensato bianco completano la struttura. Melody apre la porta e ritrova la sua stanza. Entra e si guarda intorno.

«È identica a quando l’avevo lasciata» commenta.

«È una copia – ammette Tai – Maestro Saek aveva fatto distruggere tutto quello che ti apparteneva»

«Ah ecco!» commenta Melody.

«Quando abbiamo saputo che saresti tornata – aggiunge Vaja – col benestare del Maestro, abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere ritrovare le tue cose, anche se in copia»

«Sì, molto, io…» a Melody ritornano gli occhi lucidi.

«Adesso non rimetterti a piangere – dice Tai alzando una mano ma sorridendo all’amica – Adesso mettiti comoda ed appena pronta ti aspettiamo giù: un buon allenamento è quello che ci vuole in questi casi»

«Sarà un piacere» risponde Melody.

Si chinano l’un l’altra, poi Tai e Vaja chiudono la porta e se ne vanno. Melody molla lo zaino ed il mantello e si mette a guardare tutta la stanza angolo per angolo.

«Fin nei più piccoli dettagli» esclama commossa ed ammirata nello stesso tempo.

Più tardi sono nella piazza di allenamento a scambiarsi colpi l’un l’altra, a terra ed in aria, facendo acrobazie e salti incredibili. Vaja sembra che si divida tanta è la velocità con cui sferra colpi col suo corpo; Tai quasi moltiplica le braccia e le gambe mentre molla pugni e calci; Melody si muove con disinvoltura in mezzo a quei colpi e con veloce grazia schiva, para e sfrutta la forza del colpo avversario per sferrare i suoi che le due amiche riescono comunque a parare e schivare. Poco distanti siedono il Maestro e Tippi.

«Sono assolutamente fantastiche! Riuscirò mai ad essere come loro?» commenta Tippi.

«Lo sei già – risponde il Maestro stupendolo – Non al loro livello adesso ma al loro livello quando avevano la tua età»

Tippi lo guarda per un momento.

«Vado ad allenarmi» dice alzandosi.

«Fai fluire il tuo Chi – gli dice il Maestro – Concentrati su questo, per ora. Ti servirà»

«Sì Maestro»

Poco dopo l’allenamento è finito. Le tre si inchinano tra di loro e poi verso il Maestro.

«Ottimo – dice il Maestro – Non perfetto ma ottimo. Nei giorni successivi avrete occasione di insegnarvi qualcosa l’una all’altra. Ma per oggi basta. Penso che a Melody interesserà anche qualcos’altro, oltre al Tempio di Lung»

Melody annuisce. Si inchinano di nuovo tutti e tre e se ne vanno.

Dopo essersi fatta un buon bagno ristoratore, essersi pettinata e tirata a lucido il suo manto ed aver indossato un tubicino celeste, a collo alto, privo di maniche e con la gonna che arriva a metà coscia ma dotata di ampio spacco, Melody raggiunge Tippi nella Sala dei Molti Oggetti. Lì il coniglietto, muovendosi a velocità incredibile, sta spostando o rimettendo a posto vari oggetti. Circa dieci secondi dopo si ferma, ammira la sua opera e si china soddisfatto. Raggiunge Melody saltellando. La gatta le sorride e si abbassa alla sua altezza.

«Vedo che sai già manipolare il Chi» gli dice.

«Sì, sì – risponde Tippi allargando le braccia e facendosi prendere in braccio da Melody – Non so ancora concentrarlo né usarlo come fai tu, ma so farlo fluire. Non che aiuti con la giostra dei bastoni, visto che più ti muovi veloce tu, più si muovono veloci loro, però il Maestro dice che è una buona cosa che io sappia farlo con naturalità e quindi mi alleno. Le prime volte mi stancavo mentre adesso rimango fresco come una rosa»

«Ottimo! Senti… hai da fare?»

Tippi scuote la testa.

«Il Maestro dice che oggi posso rimanere a tua disposizione – dice lisciandosi le orecchie – Il che non può farmi che piacere»

«Ancora meglio! Allora ti andrebbe di accompagnarmi in giro per Rocciasalda? Son tre anni che manco e vorrei vedere cos’è cambiato e cosa no»

«Ma naturalmente! Anche subito!»

«Andiamo, allora»

Tippi salta a terra, prende per mano Melody e la porta fuori dal Tempio di Lung, per le strade di Rocciasalda.

La città è come se la ricordava: le grandi strade principali, le piccole stradine secondarie mai buie e sempre pulite, le case cubiche ornamentate con statue, piante e fregi di vario tipo, tutte dotate di un qualche cortile, le piante che crescono vicino alle case o che pendono dai tetti e le persone perennemente affaccendate ma sempre pronte a fermarsi un attimo per un saluto od un sorriso. Melody gira insieme a Tippi guardandosi intorno curiosa, ben attenta ad ogni singolo dettaglio come le hanno sempre insegnato i Maestri del Trio Drago, ma sempre pronta a ricambiare saluti e sorrisi. Anche gli odori non sono cambiati: l’odore delle piante, della gente ed anche della polvere. A Melody tutto sembra gridarle: “sei a casa”.

Tippi, dopo averla fatta girare per un po’, la porta all’orfanotrofio Fiore di Pesco. Lì le lascia la mano e corre dentro.

«Ciao a tutti!» strilla.

«Tippi!» è la risposta di tutti i bimbi che escono da ogni dove.

Gli saltano tutti addosso.

«Piano!» dice Tippi ma viene rapidamente sommerso.

Tutti i bimbi cercano di acchiapparlo, abbracciarlo, tirarlo… solo la risata cristallina di Melody li fa desistere dal loro tentativo.

«Melody! – strillano correndole incontro – Sei tornata!»

«Sì – risponde lei abbassandosi alla loro altezza ed accogliendoli tra le braccia – sono tornata… per restare!»

«Yeee!» è il coro unanime.

«Ci fai uno dei tuoi spettacoli?» chiede un uccellino.

«Ovvio che sì! Ma, come sapete, devo prima salutare…»

«Bentornata Dolce Melodia» la interrompe Lady Danek giungendo.

Melody sorride alla cerva: è come se la ricordava, col suo qi-pao rosso attillato, il suo sguardo magnetico e quel sorriso materno che a lei fa sempre molta tenerezza. Lady Danek si avvicina e le porge le mani.

«Vedo che il sole non ha abbandonato i tuoi occhi – dice – È un piacere vedere che stai bene»

«La ringrazio, Lady Danek – risponde Melody accettando le mani – Come io sono di vederla in perfetta forma. Madama Pang?»

«Giusto. Tu non lo puoi sapere. Madama Pang è andata a vivere con suo marito, un anno e mezzo fa»

«Si è sposata?»

«Sì e ha anche una figlia… di un anno più piccola di Tippi»

Melody è stupita: Madama Pang era sposata da tempo e lei non se n’era mai accorta.

«Nessuno lo sapeva – dice Lady Danek intuendo lo stupore della gatta – Ha stupito tutti. Magari un giorno la incontrerai. Ma adesso credo che i bimbi non si tengano più dalla voglia di vederti in azione»

«Ah, sì! – risponde lei riprendendosi – Mi servirebbero alcune cose»

Pochi minuti dopo Melody fa danzare diverse trottole a filo, in terra ed in aria; ognuna di esse emette luci, colori e suoni mentre ruota e si muove ed anche lei danza e volteggia in mezzo alle trottole, creando uno spettacolo decisamente inusuale ma meraviglioso agli occhi dei bambini. Conclude il suo numero facendo comparire dei dolcetti dal nulla e regalandoli ai bambini.

Più tardi si è di nuovo incamminata con Tippi per mano. È commossa a vedere che i bambini si ricordano ancora di lei. Si asciuga gli occhi.

«Ho fatto bene a portarti da loro, vero?» chiede Tippi guardandola.

«Certo Tippi. Ma adesso dimmi: li vai a trovare molte volte, vero?»

Tippi annuisce.

«Il Maestro dice che almeno una volta a settimana lo devo dedicare al gioco ed i vado da loro. È una festa. Mamma Danek dice che facciamo un sacco di casino ma non è vero»

Mamma Danek, riflette Melody, è sempre stata una cerva miracolosa; gentile, premurosa ed autoritaria quel tanto che basta. Qualsiasi bambino che giunge a Fiore di Pesco, lei lo comprende in pochi minuti, ottiene la sua fiducia in poche ore e nel giro di tre giorni verrà chiamata Mamma Danek. Da tutti. Nessuno escluso. Anche Madama Pang ci sa fare con i bambini ma non è mai stata chiamata mamma. Lady Danek invece… GROWL! Le brontola lo stomaco.

«Ehm – dice lei – Dove andiamo adesso?»

«A mangiare, direi – risponde Tippi facendola arrossire – Ti porto in un posto buonissimo!»

Poco dopo raggiungono un arco di pietra con sopra un’insegna: una ciotola di spaghetti fumanti con dietro una forchetta ed un coltello incrociati; sotto una scritta in caratteri dorati: “Ristorante Dal Mastro Yong. Specialità varie”.

«Eccoci qui – dice Tippi – È un tirchione ma nessuno fa pappe buone come le fa lui»

Passato l’arco ci si ritrova in un cortile pieno di tavoli e sedie e qualche avventore. Giù in fondo il banco delle ordinazioni che fa tutt’uno con la cucina del ristorante nonché casa di Mastro Yong. Fatto qualche passo nel cortile, la porta vicino al banco delle ordinazioni si apre e ne esce un uccello variopinto, dalla testa rossa, petto nero, ali gialle… una Gemma di Gould. Indossa un grembiule da cucina giallo e rosso e ha in testa un cappello da cuoco bianco con ricamato sopra lo stesso simbolo inciso nell’insegna. Gli occhietti neri sono vispi ed il lungo becco nero sorride agli avventori.

«Mastro Yong» lo saluta Melody mettendo il pugno sinistro nella mano destra ed inchinandosi.

Mastro Yong allarga le sue braccia/ali e si avvicina. È più basso di una testa di Melody.

«Ma lascia stare i formalismi e fatti abbracciare» le dice cingendola.

La sua voce è melodiosa.

Melody ricambia l’abbraccio sorridendo.

«Sei rimasta morbida come mi ricordavo – commenta Mastro Yong – ed i tuoi muscoli si sono ben sviluppati»

«Anche lei è rimasto morbidissimo – risponde Melody – e le sue piume sono più colorate che mai»

Tippi tossisce interrompendo i loro discorsi.

«Ciao!» dice.

«Ah! Ci sei anche tu» risponde Mastro Yong glaciale.

Tippi arriccia il naso.

L’uccello torna a sorridere a Melody.

«Fatti un po’ osservare» dice facendo un passo indietro.

Melody gira su se stessa elegantemente.

«Sei più bella che mai» dice Mastro Yong.

In quel momento lo stomaco di lei brontella forte, facendola arrossire: l’odore del cibo che viene dalla cucina le sta facendo venire l’acquolina in bocca.

«Direi che sei anche affamata – commenta l’uccello – vieni, ti offro la specialità di oggi: spaghetti al tartufo»

«Ce ne anche per me?» chiede Tippi saltellandogli dietro.

«Ce li hai i soldi?» risponde Mastro Yong severo.

«Uffa!» risponde il coniglietto mettendo una mano in tasca e tirando fuori una moneta.

L’uccello sorride, intasca la moneta ed accompagna i due ad un tavolo.

«Accomodatevi: sarete serviti fra poco. A Melody offre la casa» conclude andandosene.

«Tirchione!» commenta Tippi.

Poco dopo due ciotole contenenti degli spaghetti in salsa tartufata bollenti vengono servite. Melody e Tippi ne assaporano il profumo, ne prendono un boccone, gustandolo lentamente.

«Eccezionale!» commentano una volta ingoiato.

Mangiano senza più pronunciare una parola.

«Quanto mi mancava la cucina di Mastro Yong» commenta Melody soddisfatta dopo aver finito.

«Vi porto qualcos’altro?» chiede Mastro Yong giungendo.

«Un bis!» dice Tippi porgendo la ciotola.

«Ce l’hai i soldi?»

«Ehm…» fa il coniglietto indietreggiando la ciotola.

«Offro io» dice Melody e Tippi, tutto contento, porge di nuovo la ciotola.

Mastro Yong prende la ciotola di Tippi e quella di Melody lasciata sul tavolo.

«Ti porto qualcos’altro?» le chiede.

La gatta annuisce.

«Fa tu» gli dice.

Passeranno più di un’ora a mangiare al ristorante. Sbrigate poi le formalità di pagamento, Melody e Mastro Yong si abbracciano di nuovo.

«Torna a trovarmi» le dice l’uccello.

«Sicuro. Anzi, non è che potreste prepararmi una cena d’asporto? Per me, Tippi, Tai e Vaja. Penso che sia un buon modo per festeggiare il mio ritorno»

«Ma certo! Ne rimarrete deliziati tanto da leccarvi i baffi»

Melody sorride e gli dà un bacio sulla fronte.

«Asporto gratis» aggiunge Mastro Yong.

Melody si porta una mano alla bocca per nascondere il fatto che sta ridendo, mette una mano sulla spalla di Tippi ed insieme escono.

«Potevi farti fare un po’ più di sconto» commenta Tippi quando sono fuori.

«E perché mai? Lui ci mette gli ingredienti, il lavoro e la passione. Perché non dovrei pagarlo? L’asporto però no, visto che lo porterò via io – fa una pausa – Ed adesso dimmi perché Mastro Yong ce l’ha tanto con te»

«Perché è un tirchione e glielo dico a chiare lettere; lui si fa pagare tutto: cibo, acqua, bicchieri, posate, sedie, tavoli, aria…»

«Mentre tu vorresti mangiare gratis» l’anticipa Melody.

«Ok, lo ammetto: qualche volta ci ho provato. Ma rimane un tirchione!»

Melody ride. Tippi sorride felice sentendo la sua risata cristallina.

Più tardi sono al mercato, gustandosi zucchero filato e crepes dolci; girano per le varie bancarelle osservando le varie mercanzie.

«Guarda questo! – grida ad un certo punto Tippi correndo ad una bancarella e prendendo in mano quello che sembra un uovo meccanico – Te lo ricordi?» conclude porgendoglielo.

Il sorriso gioioso di Melody cambia divenendo più triste.

«Mi dispiace Tippi, io…» inizia a dire.

«Andiamo, non puoi non averci giocato!» insiste Tippi cacciandoglielo sotto il muso.

Melody lo prende in mano.

«Il fatto è che… – inizia a dire e sospira – il mio Maestro mi ha fatto mangiare tutti i giocattoli»

«Ha fatto… COSA?!» esclama Tippi sicuro di non aver capito.

«Mangiare. Messo in bocca, chiuso il muso e tenutolo fermo fin quando non lo avevo ben masticato. Non ricordo se ne ho dovuto ingoiare qualcuno – guarda il giocattolo – Di questo ricordo più il sapore che come ci si gioca»

Lo poggia e si allontana, lasciando Tippi sconvolto dalla rivelazione.

Melody si guarda intorno e dopo un attimo il suo sorriso torna gioioso.

«Questo me lo ricordo!» esclama correndo ad una bancarella subito seguita dal coniglietto.

La bancarella è piena di libri e fumetti.

«La bancarella dei fumetti – esclama la gatta malcontenendo l’emozione – Quanto tempo ho passato qui. Li ho letti tutti. C’era poi una saga… no, non ci credo – afferra un fumetto e lo sfoglia – è l’ultimo numero! Non credevo di trovarlo dopo tre anni! – guarda il rivenditore: un merlo con indosso un changpao con larghe maniche – Posso tornare piccolina?» chiede stringendo il fumetto al petto.

«Accomodati pure» risponde il venditore sorridendo.

Melody va a sedersi in un angolino accanto alla bancarella e si mette a leggere.

«Ehi! Perché lei sì ed io no?» chiede Tippi indispettito.

«Perché tu fai scappare i clienti e lei li attira»

«Eh?»

«Osserva e vedrai»

Melody legge tranquillamente il suo fumetto. Quando lo ha finito prende un bel respiro, stringendo il fumetto al petto; poi balza in piedi ed inizia ad esibirsi, cantando le lodi dei libri e dei fumetti, narrando l’incipit delle varie saghe, recensendo tutti quelli che ha letto, lodando il venditore per la sua arte di trovare l’introvabile; e lo fa saltando, danzando ed attirando una marea di pubblico.

Mezz’ora dopo, quando la folla si è dispersa, Melody si ferma, fa di nuovo un profondo respiro stringendo il fumetto al petto.

«Torniamo grandi» dice.

Tirando fuori dei soldi, li consegna con un grazioso sorriso al venditore.

«No, no, te lo regalo» dice lui.

«No, non sarebbe giusto» risponde lei.

«Come no? Guarda qua – indica il suo banco completamente vuoto – Ho venduto tutto in mezz’ora e ho ordinazione per una settimana! Quasi quasi ti assumo»

Melody ride.

«Non sarei in grado di rifarlo – dice – ma comunque grazie» rimette i soldi a posto.

«Allora, hai capito qual’è la differenza?» dice il venditore a Tippi.

Tippi annuisce impercettibilmente, ancora meravigliato dallo spettacolo della sua amica.

«Uh? Di che parlate?» chiede Melody inclinando la testa.

«Che questo birbantello vuole leggere i fumetti a scrocco e fa scappare i clienti pur di non pagare» risponde il venditore.

«Tippi! – lo rimprovera Melody – Non si fa! Non puoi impedire agli altri di leggere i fumetti perché tu non vuoi pagarli! Cosa succederebbe se il Signor Liu se ne va? Quali fumetti leggeresti? Cosa leggerebbero gli altri? Non fare il cattivo!»

«Non lo faccio più! – dice Tippi abbassando le orecchie mogio – Non sono cattivo!»

Melody si abbassa alla sua altezza.

«Voglio la tua parola di coniglietto» dice severa ma dolce.

«Ti do la mia parola di coniglietto che non farò più fuggire i clienti del Signor Liu – dice tenendosi le orecchie – e mi conterrò nel leggerli a scrocco. Che mi cadano le orecchie se non mantengo la parola»

Melody sorride e lo accarezza.

«Quando vuoi sai essere bravo – commenta il Signor Liu – Continua così e ti farò leggere qualche fumetto»

A quelle parole Tippi salta sul bancone.

«Voglio la tua parola!» dice serio.

«Promesso sul mio becco. Tu mantieni la tua parola ed io manterrò la mia»

«Affare fatto!» dice Tippi sorridente.

Si danno una leggera testata l’un l’altro.

«Visto che non era così difficile?» dice Melody prendendo per mano Tippi.

«Hai sempre ragione tu, c’è poco da fare» commenta Tippi allegro.

«Arrivederci Signor Liu» dicono entrambi prima di allontanarsi.

«Arrivederci ragazzi» risponde il Signor Liu iniziando a smontare la bancarella vuota.

Più tardi, al limitare del mercato, trovano un carretto con sopra una vera e propria piramide di mele rosse grosse e succose. Accanto al carretto decine e decine di casse contenenti altrettante piramidi. Il venditore, un grosso lupo nero dagli occhi dorati, offre le proprie mele ad ognuno che passa, intascando i soldi da coloro che accettano le sue offerte. Il lupo indossa un tunica azzurra, un paio di pantaloni e degli stivali entrambi neri.

«Signor Raul» saluta Melody sfoggiando un sorriso.

Tippi si accorge subito che è finto.

«Melody – risponde al saluto Raul, sfoggiando a sua volta un sorriso che è più un ghigno – È da un po’ che non ti si vede in giro»

«Avete sentito la mia mancanza?»

«Veramente no ma visto che sei qui – prende una delle mele – Ne vuoi una?»

«La ringrazio»

Afferra la mela, la osserva, l’annusa e la morde.

«Fantastica! – dice con un sorriso sincero – Sempre eccezionali le sue mele»

«Lo so: il mio meleto è tra i migliori che esistano. Non per vantarmi ma non c’è nessuno che abbia mele migliori delle mie»

«A volte mi chiedo come faccia: lei non ci sa lavorare ai meleti»

«Ehi ragazzina, io mi limito a dirigere ed a vendere. La natura fa il resto»

«E squadre di ortofrutticoli»

«Da me pagate»

«Lo so»

Si guardano per un momento. Tippi ha l’impressione che vorrebbero strozzarsi a vicenda.

«Quant’è?» chiede Melody prima di dare un altro morso alla mela.

«Visto sei tu, sono 200 Dan»

«Splut! Coff! – si affoga Melody – Eh? A quel prezzo ci posso comprare cento mele!»

«Prezzo speciale per colei che mi rubava le mele»

«Ehi! Ho già pagato per allora. Ricordo ancora le tue nerbate sulla schiena!»

«E tutte le mele che ti sei mangiata?»

«Le ho vendute le tue mele!»

«Ne avresti vendute di più se non le mangiavi! E poi devo ringraziare te se ho dovuto cambiare i miei processi produttivi! Ho dovuto spendere e sto spendendo un sacco di quattrini che mi sarei potuto risparmiare!»

A quelle parole Melody soffia! Dà la mela a Tippi, gli si mette davanti e gli fa cenno con la coda di andarsene. Il coniglietto indietreggia di due passi e, sicuro di non essere visto, sparisce in tre salti.

«Adesso ascoltami bene, ipocrita schiavista – dice Melody picchiettando Raul col dito – insegnare il valore del lavoro ai bambini, non significa torturarli. Dovresti ringraziare che ti abbiano lasciato il meleto perché io non l’avrei fatto!»

«Ascoltami tu, smorfiosa di una gatta – risponde Raul picchiettandola a sua volta – non mi incanti con le tue moine ed i tuoi sorrisi. Sei un combinaguai di prima categoria: hai rovinato un ottimo processo di produzione, mi hai messo tutti contro e hai combinato più disastri tu che tutti gli altri messi insieme»

«Ottimo processo di produzione? – strilla Melody – Tu usavi i bambini come oggetti; li usavi fino a consumarli per poi buttarli via! Li trasformavi in bestie! E chiami tutto questo “ottimo processo di produzione”?»

«Non eravate altro che poveri inutili Senzafamiglia – strilla ancora più forte Raul – Io vi offrivo un posto dove stare!»

«Tu ci offrivi un inferno in terra! – nell’urlare Melody gonfia i muscoli come se volesse attaccare – Non ci hai mai accolto! Ci hai usato! Ci hai torturato! E vuoi pure che ti siamo grati di questo? Ma ti sbagli di grosso, brutta bestia. Ritieniti fortunato di come sono andate le cose perché sono fortemente tentata di farti assaggiare la stessa medicina!»

«Forse sono stato troppo buono con te – ringhia Raul gonfiando a sua volta i muscoli – avrei dovuto romperti tutte le ossa!»

Gli occhi di Melody e di Raul divengono due fessure. In quel momento Tippi tocca la coda di Melody.

«Forse è il caso di andare» prova a dire timidamente.

La presenza di Tippi distoglie dai suoi pensieri Melody che abbandona la posizione di attacco.

«Sì è meglio – dice – o non rispondo di me»

Afferra un sacchetto di monete e lo sbatte in faccia a Raul.

«A mai più rivederci» dice furiosa allontanandosi.

«Non credo proprio: sono l’unico che vende queste mele» la canzona Raul facendone ruotare una sul dito.

Tippi segue silenziosamente, preoccupato per il furore dell’amica. Allontanandosi da Raul, Melody prende delicatamente la mela dalle mani di Tippi e ci dà un grandissimo morso. Mentre l’assapora, la rabbia scema dal suo corpo.

«Purtroppo ha ragione – commenta dopo aver ingoiato – mele così le ha solo lui – si volta verso Tippi e gli sorride – spero di non averti spaventato»

«Un pochino – ammette Tippi – sembrava volessi picchiare tutti»

«No, non tutti: solo lui. Ha la capacità di farmi uscire dai gangheri – si abbassa – ma stai tranquillo: qualsiasi cosa succeda, non me la prenderei mai col mio coniglietto preferito»

Tippi ricambia il sorriso e si abbracciano.

Girato un angolo, trovano i vari bimbi di Fiore di Pesco con diverse sacche piene di mele; ognuno ne sta mangiando una. Quando li vedono, si fermano e li guardano.

«Portate qualche mela a Lady Danek: vi preparerà una torta di mele buonissima» dice Melody sorridente.

I bimbi ricambiano il sorriso e si inchinano. Melody e Tippi ricambiano. I bimbi prendono due mele e le lanciano alla gatta ed al coniglietto che le prendono al volo. Sollevatele in segno di ringraziamento, ci danno un morso; dopodiché passano in mezzo a loro e, salutandoli, se ne vanno.

«Questa volta non ti sei lamentato che le abbiamo prese gratis» commenta Tippi mangiando la sua mela.

«Perché non le avete prese gratis: lui cento mele mi fa pagare ed io cento mele mi prendo – dà un altro morso – A proposito: grazie per avermi capito»

«Figurati. Era abbastanza chiaro che volessi fare dispetto al Signor Raul e che aveva a che fare con le mele. Ci ho pensato su e sono andato a chiamare tutti. Lo possiamo anche rifare»

«Tutte le volte che andremo a comprare le mele da lui» conclude Melody soddisfatta.

«Ora me la puoi togliere una curiosità? – chiede Tippi quando hanno finito di mangiare le mele – Cos’è successo esattamente col Signor Raul?»

«Presto detto – risponde Melody sedendosi ad una panca – Quando avevo più o meno la tua età, anch’io rubavo le mele»

«Anche tu eri discola!»

«Sì, lo ero. Ma non ero cattiva. Esattamente come te. Non mi rendevo conto di fare un danno. Quelle mele erano lì, pronte per essere colte ed io le raccoglievo. Così il mio Maestro mi mandò da lui per imparare il valore del lavoro. Per fartela breve, il Signor Raul era un sadico schiavista. Io e gli altri bambini venivamo continuamente picchiati e… altro. Insomma ad un certo punto ho preso in mano la situazione e siamo riusciti a fare abbastanza casino da far scoprire alla gente cosa accadeva dietro quelle mura. Da quel momento il Signor Raul non ha più potuto fare il bello ed il cattivo tempo ed i bambini sono stati liberi. Al mio Maestro, però, la cosa non è piaciuta e mi ha messo in punizione. Ma due miei compagni di sventura son venuti a darmi man forte, trasformando la punizione in una bellissima serata»

«Chi erano?»

«Li conosci anche tu: Tai e Vaja»

Tippi rimane a bocca aperta.

«Ora ho una curiosità boia di sapere tutti i dettagli»

«Dovrai pazientare stasera: è giusto che siano presenti anche loro… e poi devi finirmi di mostrare la città»

«Giusto: ti porto in un posto bellissimo»

Si alzano e si incamminano.

Dopo pochi minuti raggiungono un parco. Un arco d’edera ne delimita l’entrata. Vi è su scritto: “Parco giochi Foresta Verde”. Viali acciottolati ed immensi alberi si trovano al suo interno. Qua e là si possono intravedere delle costruzioni.

«Lo hanno finito!» esclama Melody tenendosi il muso per non urlar di gioia.

«Sì e c’è tutto quello che avevano detto. Ti va di farci un giro?» chiede Tippi.

«Anche due!» risponde Melody.

«Tre?» ci prova il coniglietto.

«Facciamo cinque!» dice Melody.

«E se facessimo otto?» incalza il coniglietto.

«Non più di dieci» pensa di concludere la gatta.

«E se ti dico che questa era l’ultima cosa che ti dovevo mostrare?» rilancia il coniglietto.

«Ci rimaniamo fino a sera» si arrende la gatta.

«Via!» strilla Tippi tutto contento, trascinandola dentro.

La prima cosa che fanno è un giro dentro il parco per vedere come è fatto. Comminano per tutti i viali, si inoltrano tra gli alberi, vedono dove si trovano gli edifici e le giostre. E poi via a giocare: il labirinto degli specchi, il “percorso avventura”, le giostre (Melody l’altalena e Tippi lo scivolo), il tunnel dell’eco, la casa bucata dove si assumono le posizioni più strane nel tentativo di passare da tutti i buchi, giocano a fare castelli di sabbia nella “scatola delle sabbie”, a bagnarsi i piedi e schizzarsi nel Fiumiciattolo, a mosca cieca, nascondino ed acchiapparella, saltano di ramo in ramo. Fanno anche un po’ di allenamento nella Piazzola per poi ricominciare tutto da capo, dieci, quindici, venti volte, fin quando del sole non è rimasto che un alone rosso in cielo. Melody salta giù dall’altalena ed afferra Tippi al volo alla fine dello scivolo, prendendolo in braccio.

«Basta così, per oggi: è ora di andare a prendere la cena» gli dice.

«Si sta sempre benissimo con te – commenta Tippi abbracciandola – Mi sono divertito tantissimo!»

«Toglimi una curiosità – chiede Melody mentre cammina verso l’uscita sempre tenendolo in braccio – Lady Danek vi porta al parco?»

«Certo! Una volta a settimana, quando vado a trovarli, la maggior parte delle volte. Ma lei è mamma Danek: non fa testo»

Melody ride.

«Tippi!» gli dice divertita toccandogli il nasino.

Il coniglietto è tutto felice: gli piace tanto la risata cristallina della sua amica.

Giungono, mano nella mano, al ristorante di Mastro Yong che le ombre della sera si stanno già allungando. All’entrata incontrano Tai e Vaja. Si salutano tutti e quattro con un inchino.

«Che ci fate qui?» chiede Melody.

«Sapevamo che avresti ordinato la cena da Mastro Yong e siamo venute a darti una mano a portarla» risponde Vaja.

Pochi minuti dopo stanno facendo ritorno al Tempio di Lung, ognuno con una pila di pacchetti in mano; Vaja li porta in perfetto equilibrio sulla testa.

«Ti abbiamo sentita mentre litigavi col Signor Raul» dice Vaja mentre camminano.

«Sul serio?» chiede Melody.

«I tuoi urli arrivavano fino al Tempio» dice Tai.

Melody arrossisce.

«È lui che mi fa uscire dai gangheri» dice.

«A chi lo dici – ribatte Tai – Io ogni volta che lo vedo, lo vorrei prendere a pugni»

«Io morderlo e stritolarlo» incalza Vaja.

«Però ci siamo presi le sue mele» dice Tippi.

«Ben fatto» rispondono entrambe.

Poco dopo sono nella Sala dei Pasti e hanno aperto tutti i pacchetti: ci sono diversi tipi di polpette, ravioli, insalata di patate, torte rustiche e la Superba Sfornata di Mastro Yong, i cui ingredienti sono segreti ma è una delizia per il palato.

«Pancia mia fatti capanna!» commenta Tippi vedendo tutto quel Ben di Dio.

Iniziano a mangiare ed in un primo momento nessuno parla, assaporando il cibo.

«Melody mi ha accennato a cos’è successo col Signor Raul – rompe ad un certo punto il silenzio Tippi – e mi ha detto che c’eravate anche voi»

«Sì è così» conferma Vaja.

«Perché non me lo avete mai detto?» incalza Tippi.

«Perché non l’hai mai chiesto» risponde Vaja sorridendo al coniglietto.

«Non è che raccontiamo al nostra storia a chiunque vediamo» aggiunge Tai senza alzare gli occhi dal piatto.

«E se ve lo chiedo adesso, me la raccontate?» insiste Tippi.

«Non è un segreto» risponde Tai sollevando gli occhi e guardando prima il coniglietto e poi Vaja.

«Ma direi che la prima a parlare sia Melody – aggiunge il serpente – In fondo è lei che ha introdotto il discorso»

«D’accordo: mi sembra giusto» risponde la gatta.

«Vai di dettagli – dice Tippi – Sono grande abbastanza»

«Come vuoi – risponde Melody – Allora… Come ti ho già detto, avevo più o meno la tua età quando rubavo le mele dal meleto del Signor Raul. Erano belle, succose, pendevano fuori dalle mura che circondavano il meleto. Io mi arrampicavo e mangiavo a quattro ganasce. Non mi rendevo conto di fare un danno. Così, un giorno, il mio Maestro decise che era giunto il momento di imparare il valore del lavoro e mi consegnò al Signor Raul dicendogli di trattarmi come tutti gli altri. Così iniziò il mio viaggio all’inferno. La prima cosa che fece fu di spogliarmi: mi strappò di dosso i vestiti e mi mise un gonnellino striminzito; poi mi prese a frustate: dieci per ogni mela che avevo mangiato; infine mi mandò a lavorare nel meleto. Si lavorava da prima dell’alba fin dopo il tramonto; bisognava raccogliere le mele, dividerle, catalogarle, portare casse pesantissime da un luogo ad un altro. Si lavorava senza sosta, né riposo, né acqua, né cibo. Se ti fermavi per più di un secondo, erano legnate e frustate. All’ora di pranzo avevi cinque minuti di riposo dove ti veniva data dell’acqua. Un altro po’ te ne veniva data la sera, prima di venir tutti rinchiusi in un unico capanno con una mela al suo interno. La lotta per quella singola mela era feroce tra i bambini. Ne sono ancora sconvolta: c’era una violenza inaudita nel tentativo di accaparrarsi quella singola mela. La prima volta che ho assistito alla lotta ne sono rimasta terrorizzata. Vaja era la più veloce a prendere la mela ma tutti gli altri, poi, le saltavano addosso facendogliela sputare. Le saltavano addosso letteralmente e ripetutamente: ancora non so come facevano ad non ammazzarla»

«Sono robusta» commenta Vaja.

«Si saltavano, poi, l’un l’altro addosso – continua Melody – io… non so descrivere la violenza e la ferocia con cui combattevano: pugni, calci, morsi, tentativi di spezzare le ossa, cavarsi gli occhi, uccidersi pur di prendere quella stupida mela… poi Tai predominava sugli altri: in breve la sua forza sbaragliava tutti e li metteva al tappeto. Si impossessava della mela e… la divideva: la spezzava in tante piccole parti e la dava a tutti! Ognuno prendeva il suo pezzo ed andava in un angolo a mangiare, senza dire una parola e senza guardar nessuno. Quando la offrì a me, le dissi che non avevo fame. Diciamo che ero rimasta disgustata dallo spettacolo. Lei mi sorrise, mi prese la mano, ci mise il pezzo di mela e la richiuse.
“Mangia” disse “la fame rende bestie. Se non vuoi diventare come noi, mangia”
Ed andò nel suo angolino a mangiare. Io la guardai; aveva ragione: la fame rende bestie ma lei non lo era. Come capii poi, erano solo lei e Vaja a dividere la mela, chiunque altro la teneva per sé. Io non partecipai alla competizione, non in quel modo almeno. Ah, naturalmente ogni giorno si ricominciava, con Raul che mi dava un sacco di frustate prima di mandarmi al lavoro, tanto per gradire.
Il secondo giorno fu Vaja a dividere la mela con me. Quando la guardai perplessa mi disse: “Sono un Senzaveleno: puoi mangiare tranquillamente”
“Non è quello “ le risposi “ è che… sei diversa… cioè, no, insomma… sei dolce, ecco”
Lei mi sorrise, mi ringraziò e scivolò contenta come se le avessi rivolto il più bel complimento del mondo»

«Lo era – commenta Vaja – all’epoca tutti, eccetto Tai, mi consideravano una specie di mostro. Sapere che qualcun altro mi considerava diversamente mi rendeva felice»

«Non poteva essere altrimenti – ribatte Melody – in quell’inferno, lei era una dei pochi che cercava di darmi una mano, per quanto possibile; in breve era una delle mie “ancore” per non sprofondare. L’altra era Tai: meno cerimoniosa ma anche lei mi aiutava»

«Sono una tipa pratica» commenta Tai.

«Il terzo giorno – riprende Melody – digiunai. Tai era stata punita perché aveva portato una cassa al posto mio e stava troppo male per partecipare alla lotta; Vaja non era riuscita ad impossessarsi della mela ed eravamo rimasti senza. Io durante il giorno ero riuscita a procurarmi delle erbe mediche per dare sollievo alla mia schiena martoriata ma in quel momento Tai ne aveva più bisogno di me. Andai da lei e mi ingegnai a farla stare meglio. Quella sera ci presentammo ufficialmente e divenimmo amiche»

«E lei si mise a piangere – aggiunge Tai – Da quel momento la chiamai Piagnona»

Melody le fa una linguaccia divertita.

«Non ricordo se fu il quinto od il sesto giorno che ero lì – riprende – forse era persino il settimo. Fatto sta che, visto che ero ancora carina nonostante tutto quello che mi aveva fatto passare, il Signor Raul decise che ero adatta a vendere le sue mele. Mi mise un vestitino per coprire la mia schiena martoriata e mi diede delle casse da vendere. Mi disse che si sarebbe subito accorto se avessi mangiato le mele invece che venderle e mi mandò fuori. Ma la fame era tanta e le mele troppo buone per resistere alla tentazione: ne mangiai due o tre. Probabilmente il mio modo di assaporare quelle mele attirò la gente al mio banchetto ed entro sera le ebbi vendute tutte. Il Signor Raul contò i soldi e si accorse subito che mancavano all’appello i soldi delle mele che avevo mangiato. Si arrabbiò molto più di quanto mi aspettassi. Mi riempì di frustate e bastonate, ma tante e tante che non le saprei contare; poi, visto che avevo provato a giustificarmi dicendo che avevo fame, mi fece mangiare sabbia e sassi, spingendoli in fondo alla gola con ferocia; quasi mi affogò nell’acqua melmosa e poi mi riempì di botte; non contento, continuò a torturami, torcermi, massacrarmi… credevo volesse uccidermi. Quando infine si calmò ero… beh, uno straccio stava meglio di me. Quella notte mi rinchiuse nel capanno, legandomi la mela addosso. Non ho mai visto tanti sguardi assassini puntati su di me. Se non fosse stato per Tai e Vaja, quei bambini, quella volta, mi avrebbero letteralmente fatto a pezzi. Quella volta posso dire di aver pianto davvero»

«Fu l’unica volta in cui non la chiamai Piagnona – aggiunge Tai – perché ne aveva ben donde, poverina. Raul era stato molto cattivo con lei. C’è da dire che era in gamba anche allora: riuscì a resistere all’attacco il tempo necessario a noi per poterla portare il salvo. La consolammo, la medicammo (per fortuna c’era rimasta qualche erba medica) e la vegliammo tutta la notte»

«Aveva ferite su tutto il corpo – aggiunge Vaja – la febbre alta e continuava a vomitare fango e sassi. C’è stato un momento in cui temevo non ce la facesse ma per fortuna riuscì a superare il punto critico. Fu solo alle prime luci dell’alba che tornò in sé»

«Le torture di Raul, però – riprende Melody – mi avevano sfiancato. Figurarsi riuscire a lavorare in quelle condizioni. Tai e Vaja mi aiutarono molto e si presero tale e tante di quelle punizioni che alla fine erano ridotte come me. Dovetti ricorrere a tutto ciò che sapevo di medicine, erbe mediche e punti di pressione. Sono ancora stupita di come riuscii a cavarmela. Ma quella esperienza mi aveva fatto capire due cose: la prima è che Raul mi odiava; odiava me, Tai e Vaja. La seconda è che compresi il motivo di questo odio: ci odiava perché non eravamo ancora diventati bestie; ci aiutavamo tra noi ed aiutavamo gli altri. Non eravamo ancora diventati bestie pronte a sbranarsi per una mela, nonostante i suoi tentativi e questo lo rendeva furioso. Poteva significare solo una cosa: temeva la nostra alleanza. Se volevo sopravvivere a quell’infermo, c’era solo un modo: far tornare le bestie bambini! Mi misi all’opera per cercare piante medicinali, radici commestibili, sostituti dell’acqua e qualsiasi altra cosa potesse essermi utile. Non fu facile; non solo per i ritmi massacranti di lavoro imposti dal Signor Raul, ma anche perché le sue punizioni, anzi torture, divenivano ogni giorno più tremende; prima a me e poi a Tai e Vaja. Ma nonostante questo, tutte le sere cercavo di avvicinarmi ai bambini per aiutarli; ne ricevetti di botte da parte loro e ne diedi tante, ma alla fine funzionò: una sera, dopo che il Signor Raul mi aveva torturato perché non gli avevo venduto una mela, quei bambini anziché cercare di sbranarmi, cercarono di aiutarmi. Non so se in quel momento stavano tornando in loro o se mi consideravano una specie di capo branco, non l’ho mai capito, ma fu l’inizio; nei giorni seguenti, lentamente, smisero di comportarsi come bestie, ricominciarono a parlare, a comportarsi da persone. Non so quanto se ne accorse il Signor Raul perché qualunque cosa succedeva, per lui era colpa mia e diveniva ogni giorno più cattivo. Infine venne il giorno: scrissi la mia richiesta di aiuto nelle mele vendute e subito dopo, con l’aiuto degli altri, rompemmo tutto, preparammo dei cartelli e facemmo un sacco di casino. Il Signor Raul arrivò in breve per farci cessare con la violenza ma noi ci difendemmo, combattemmo e protestammo ancora più forte. Ci bastò resistere pochi minuti, il tempo necessario alla Guardia Rossa ed al Trio Drago di arrivare, allertati dalla mia richiesta di soccorso. E lì non c’era solo un singolo bambino che il Signor Raul potesse far tacere e sparire, eravamo tutti e lui non aveva modo di nascondere le sue malefatte. Fu un vero piacere vederlo portato via. Fummo tutti ricoverati, molti di noi erano in condizioni pessime, io per prima, ma anche Tai e Vaja non scherzavano. Fummo anche interrogati sulla vicenda ed in breve il Signor Raul fu condannato. Lo costrinsero a cambiare la sua gestione ed è tutt’ora tenuto sott’occhio. Le mura che circondavano il meleto non esistono più e nessun bambino deve più soffrire a causa sua. A proposito di bambini, furono tutti portati a Fiore di Pesco; anche se ne ho perso i contatti, so che Madama Pang e Lady Danek sono riusciti a finire il mio operato e renderli di nuovo tutti bimbi. Tai e Vaja mi hanno detto che son stati tutti adottati. Per quel che riguardava me, quando mi dimisero, mi sentivo orgogliosa per quello che avevo fatto: avevo imparato che le mele non si rubano, mi ero fatto degli amici, avevo salvato un sacco di bambini ed avevo fermato un cattivo. Pensai che il mio Maestro mi aveva mandato lì proprio con quello scopo. Mi dovetti ricredere: al mio Maestro non piacque quello che aveva fatto e mi mise in punizione»

«Ma come? – si lamenta Tippi – Era in combutta col Signor Raul?»

«Non lo so, anche se l’ho pensato – risponde Melody – Fatto sta che mi legò all’albero in giardino per lasciarmici tutta la notte, senza cena. Cinque minuti dopo, tuttavia, arrivarono Tai e Vaja, portando le pappe di Mastro Yong. Mangiammo, parlammo e giocammo, alla facciaccia del mio Maestro. Dormii infine sotto un cielo di stelle, abbracciata alla mie due amiche. Quella che doveva essere una punizione si rivelò essere una splendida serata»

«E pianse di nuovo – commenta Tai – Piagnona!»

Melody le fa di nuovo la linguaccia divertita.

«Quella fu l’ultima volta che le vidi – conclude infine – almeno fin quando non divennero allieve del Maestro Ravinger. E qui tocca a loro raccontare»

«D’accordo – dice Vaja – ma prima vorrei aggiungere due cose al racconto di Melody. La prima: anche noi eravamo dal Signor Raul perché avevamo rubato le mele ma devo dire, col senno di poi, che era una vera e propria trappola quella in cui eravamo incappate: il Signor Raul attirava con le mele e catturava i Senzafamiglia prima che potessero giungere a Fiore di Pesco, affinché non ci fosse nessuno a cercarli e lui potesse fare il bello ed il cattivo tempo. Non so dire cosa ci sarebbe successo se Melody non fosse giunta ma fu per noi una specie di angelo piovuto dal cielo»

Melody sorride imbarazzata.

«La seconda: fu mamma Danek ad avvertirci. Allora non la chiamavamo così; divenne mamma Danek due giorni dopo. Ma anche allora era molto attenta a quello che le capitava intorno. Ci disse dov’eri, ci disse che eri in punizione e ci diede le pappe di Mastro Yong. Portarle da mangiare ci sembrò il minimo dopo tutto quello che aveva fatto per noi e, visto che la punizione era ingiusta, decidemmo di fermarci tutta la notte con lei. Mamma Danek fu entusiasta del nostro operato»

«Come tu saprai ma Melody no – inizia a raccontare Tai rivolta a Tippi – a Fiore di Pesco ci si sente tutti parte di una grande famiglia. Ci vuole qualche giorno, questo sì, ma alla fine non si è più dei Senzafamiglia. Tutto merito di Madama Pang e Mamma Danek. Sì, la chiamo anch’io così – si rivolge a Melody – perché lei è proprio una mamma. Non so come faccia, ma è fantastico»

Melody sorride all’amica, ripensando che anche lei avrebbe finito per chiamarla così, se avesse passato poco tempo in più a Fiore di Pesco.

«Tornando a noi – riprende Tai rivolta a Tippi – il mio problema era un altro. Non so se sai che io ho una forza eccezionale: sono in grado di sollevare tonnellate, rompere muri d’acciaio, sbriciolare sassi come fossero fatti di argilla. Ma all’epoca non avevo il controllo che ho adesso ed a mano a amano che il mio corpo si riprendeva e si irrobustiva, la mia forza cresceva esponenzialmente e rischiai di divenire pericolosa per me e per gli altri: qualsiasi cosa sfioravo, veniva ridotta in briciole. Questo portò ad isolarmi: non volevo essere un pericolo per qualcuno. Mamma Danek fu molto gentile con me, ma io non le diedi molto peso quando mi disse che presto il problema si sarebbe risolto. Fu così che, a due giorni da questo discorso, mentre mi trovavo nella mia stanza, ormai ridotta ad una discarica, cupa e mogia come non mai, venne a trovarmi il Maestro Ravinger. Fui scorbutica con lui: non volevo si avvicinasse, non volevo fargli male. Lui non disse niente; si limitò a lanciarmi contro diverse bolle di sapone. Attirò subito la mia attenzione ma naturalmente esse esplosero subito, tranne una, presa dal Maestro Ravinger con una mano. Me la mostrò. “È solo una questione di controllo” mi disse. Ribattei che lui non aveva la mia forza e che non poteva sapere… non finii la frase; lui tirò fuori un cilindro di metallo e lo sbriciolò con una mano! “È solo una questione di controllo” ripeté. Porse davanti al mio muso la mano col cilindro sbriciolato e quella con la bolla di sapone intatta. “Sei pronta ad avere il controllo assoluto?” mi disse e mi conquistò.
Fu lungo e difficile ma molto più piacevole di quanto mi aspettassi. Esercizi di meditazione, respirazione e movimento. Una sorta di danza su una musica muta; ogni singola fibra del mio corpo doveva muoversi secondo dettami rigidi e fluidi al tempo stesso. Dovevo imparare ad accedere al mio Chi, lasciarlo fluire senza farlo strabordare; il corpo era mio e mio soltanto ed al mio volere doveva rispondere. Periodicamente, mattina, pomeriggio e sera, mi lanciava degli oggetti da prendere al volo, senza romperli. Inutile dire che le prime volte fallii miseramente; ma lui continuava a spronarmi, a ripetere, a non arrendermi, a mantenere il controllo. E poi iniziai a riuscire: da prima oggetti di metallo, poi pietra, poi legno e via via materiali sempre più morbidi. Prima oggetti grezzi, poi sempre più rifiniti»

«E qui arrivo io – interviene Vaja – Osservando il procedere della mia amica, ero rimasta affascinata da quella sorta di danza: ogni singolo muscolo si muoveva; poteva essere adatta anche a me. Osservai e sperimentai. Mi incasinai un po’ le prime volte ma poi iniziai a capire i movimenti, la respirazione e la meditazione necessari. Il Maestro Ravinger seguiva tutto il giorno Tai, eppure doveva tener d’occhio anche me perché ogni sera, da quando avevo iniziato a sperimentare, terminato il suo lavoro con Tai, veniva da me a dirmi cosa avevo sbagliato e cosa potevo fare per migliorare. Poi un giorno venne da me dicendo che Tai aveva bisogno di una compagna di “danza” ed iniziò a seguire entrambi. Le prime volte ci incartavamo l’un l’altra ma in breve imparammo a coordinarci. Tai non aveva ancora il controllo completo della sua forza ed ogni tanto le scappava qualche sberla ma non era più pericolosa e si poteva starle di nuovo vicino. Tutte le sere, dopo che il Maestro Ravinger se n’era andato, noi continuavamo gli esercizi, magari parlavamo e poi andavamo dagli altri che ci accoglievano con entusiasmo»

«Non sono mai stata una tipa espansiva – continua Tai – ma ero felice di poter stare vicino agli altri; di poter usare la mia forza senza pericolo. Il giorno in cui riuscii anch’io ad afferrare le bolle di sapone senza romperle, il mio addestramento fu completato. Il Maestro Ravinger si raccomandò di fare gli esercizi tutte le mattine e poi di giocare con gli altri. Ci diede l’arrivederci e se ne andò. Quel giorno potei abbracciare mamma Danek forte ma senza farle male. Non sono una Piagnona come Melody – e lei le fa di nuovo la linguaccia divertita – ma ero felice di essere diventata una bambina normale. Forte e normale – fa una pausa – Sia ben chiaro: io non sono una tipa da abbracci; quella era la “prova del nove”… e poi mamma Danek è mamma Danek, ecco» si concentra sul cibo per non far vedere che è arrossita.

I presenti sorridono.

«Ora, Tippi – riprende Vaja dopo aver mangiato un boccone – devi sapere che Fiore di Pesco non è solo un luogo dove i bambini possono di nuovo aver famiglia e dove possono venir adottati, ma ti prepara anche per il futuro. Visto che noi stavamo crescendo lì dentro, madama Pang e mamma Danek decisero che era per noi giunto il momento di imparare qualche mestiere»

«Io non sono mai stata adottata – interviene Tai tenendo sempre la testa bassa sul cibo – perché ero piuttosto defilata: non volevo lasciare mamma Danek né Vaja»

«Io invece perché sono un serpente – riprende Vaja – e solo i serpenti adottano i serpenti. E poi non volevo lasciare Tai. Io fui avviata al percorso di danzatrice mentre Tai preferì imparare a lavorare la creta, anche se ci aiutavamo sempre a vicenda. Fu alla fine di un numero parecchio acrobatico che qualcuno applaudì la mia esibizione: era il Maestro Ravinger. Era tornato. Parlammo un po’ insieme, soprattutto io in realtà. Gli confessai che, anche se mi piaceva la danza, non era quella che bramavo realmente. Era come una sorta di “porta” per qualcosa di diverso. Sentivo il mio Chi ribollire e volevo usarlo. Lui mi disse che non aspettava altro. E poi aggiunse: “se vuoi rimanere con Tai, fatti trovare pronta questa sera”»

«Qui devo intervenire io – dice Tai – ma se qualcuno di voi si mette a ridere, lo prendo a scappellotti. Dovete sapere che per me lavorare la creta era solo un hobby; quello che volevo fare io era usare la mia forza ed usarla al servizio degli altri: non mi sono mai piaciuti i prepotenti che la usano per se stessi. Così ogni tanto andavo in giro ad aiutare ora questo ora quello, a fare qualche lavoro di fatica e così via. Ero sempre stata affascinata dalla Guardia Rossa, al servizio del Trio Drago, a protezione di Rocciasalda, ma ovviamente la consideravo inavvicinabile. Ma poi incontrai di nuovo il Maestro Ravinger che disse che era soddisfatto da quanto avevo appreso e mi aprì le porte del Tempio di Lung. Per me… beh, non fu amore a prima vista ma diciamo che ci siamo. Il fatto è che io non volevo lasciare né mamma Danek né Vaja. Quando tornai a Fiore di Pesco il giorno stesso, mamma Danek mi prese con sé e mi mise sulle sue ginocchio – abbassa la testa per non far vedere che sta arrossendo di nuovo – Volevo protestare perché ormai ero grande ma non lo feci. Mamma Danek mi convinse che andare al Tempio di Lung non significava lasciarla: avrei potuto benissimo venirla a trovare, a raccontarle i miei progressi ma soprattutto sarebbe stata orgogliosa di me perché sarei stata una bravissima protettrice ed avrei difeso lei e tutti i bambini dai cattivi. Mamma Danek è l’unica che riesce a strapparmi degli abbracci e la strinsi forte a me. Il Maestro mi colse sul fatto: volevo sprofondare sottoterra dalla vergogna ma non riuscii a mollare mamma Danek. Lui disse che sarai stata un’ottima allieva e poi aggiunse: “se non vuoi lasciare Vaja, fatti trovare pronta questa sera” e se ne andò lasciandomi abbracciata a mamma Danek, con io che volevo sparire per la figura che avevo fatto ed invece mi strinsi ancora di più a lei» solleva gli occhi per controllare che nessuno stia ridendo.

«Non c’è da vergognarsi, Tai – le dice Melody mettendole una mano sopra la sua – sei una brava tigre e poi l’hai detto tu stessa…»

«…mamma Danek è mamma Danek» conclude Vaja.

Tai fa un profondo respiro, riprendendo il controllo di se stessa, ed annuisce.

«E poi?» chiede Tippi mentre le sue orecchie fremono d’impazienza.

«E poi mamma Danek ci ha tirato a lucido – risponde Vaja – ed a me ha regalato gli ornamenti che porto ancora – alza gli occhi ad indicare gli ornamenti che ha sulla testa – e che mi rendono così carina – sorride felice – Quella sera il Maestro ci venne a prendere e ci accompagnò a casa, cioè qui. Dove ci rese sue allieve e – guarda per un momento la tigre – anche se Tai non vuole ammetterlo, ci fa anche da padre»

Tai emette un colpo di tosse.

«Un po’ di rispetto, prego» dice.

«Due giorni dopo – continua Vaja ignorando l’amica – abbiamo reincontrato Melody»

«Sono stata felicissima di rivederle – commenta Melody – Non sai che festa che ho fatto»

«E si è messa a piangere – aggiunge Tai – Piagnona»

Melody le fa di nuovo la linguaccia divertita.

«Cinque volte a settimana ci allenavamo insieme – prosegue – Una volta a settimana si stava col proprio Maestro ed una volta a settimana eravamo libere di andare dove volevamo»

«Ed andavate a trovare Mamma Danek» dice Tippi.

«Ovvio!» è la risposta corale.

«E seguivamo anche i nostri hobby – aggiunge Vaja – Io la danza»

«Ed io la creta» aggiunge Tai.

«Ed io dipende – aggiunge Melody – a volte leggevo fumetti, a volte giocavo, a volte studiavo le proprietà delle erbe medicinali. E così è sempre stato, fino al giorno in cui sono scappata – fa una pausa – Ed ora a te, Tippi, quando sei divenuto allievo del Maestro Ravinger? Come mai? Come ti sei trovato con Tai e Vaja? Racconta tutto!»

«È stato un anno fa – racconta Tippi dopo aver bevuto – Non so perché mi abbia scelto. Era già da un po’ che veniva e mi osservava. In breve abbiamo tutti capito che avrebbe voluto adottarmi, ma, come dice Tai, lei è più Maestro che papà; è anche un buon papà, come dice Vaja, ma è più Maestro e… mi sto ripetendo, vero?»

Melody annuisce.

«Va bene: facciamola breve – continua Tippi dando un morso al dolce – Un anno fa è venuto a prendermi, mi ha adottato e mi ha reso sul allievo. Il mio incontro con Vaja e Tai è stato… la prima settimana difficile. Le conoscevo già, ma un conto è conoscerle, un conto è abitarci insieme. Ho avuto pochissimo a che fare e Vaja era ai miei occhi assolutamente carina ed assolutamente strana: mi avvicinavo curioso e scappavo spaventato allo stesso tempo. Ci sono voluti un paio di giorni per vincere la mia diffidenza ed un altro paio perché divenissimo amici. Ok, in mezzo ci sono un altro paio di giorni di allenamenti e chiacchiere che hanno aiutato a rompere il ghiaccio, ma va bene. Con Tai invece… beh, a Tai piace fare la dura e la distaccata, anche se non è così…»

«Ehi! Non prendermi in giro!» interviene Tai.

«Non ti prendo in giro – ribatte il coniglietto – Non sei il pezzo di marmo che vuoi far credere di essere e lo sai»

«Ho i miei motivi»

«Ti piace assomigliare ad un pezzo di marmo!»

Gli occhi di Tai sorridono divertiti mentre cerca di assumere una faccia seria.

«Se non la pianti, ti prendo a scappellotti!» dice in tono tutt’altro che serio.

Tippi le fa una linguaccia divertita. Melody porta una mano alla bocca per evitare di far vedere che sta ridendo.

«Inizialmente, quindi – riprende Tippi – non ci sopportavamo: io il suo modo di fare e lei il mio modo di fare. Questo è stato per… boh! Fin quando non mi sono fatto male; e ho rischiato di farmi malissimo se Tai non mi avesse preso per le orecchie»

«Ha fatto un casino infinito e quando l’ho visto precipitare, son corsa in suo aiuto» specifica Tai.

«Ma che avevi combinato?» chiede Melody.

«Ho cercato di prendere i biscotti al cioccolato che il Maestro aveva nascosto in alto – risponde Tippi – e… mi son tirato tutta la cucina addosso! Per non finir schiacciato, son saltato via. Non ho preso la finestra? In pieno! L’ho sfondata, ho sfondato il cornicione subito sotto, mi sono fatto tutto il muro e Tai mi ha afferrato prima che finissi nel burrone»

«Ma sei un disastro, Tippi – commenta Melody – Io non sarei riuscita a fare tutto questo casino, neanche volendo»

«Allora ero pasticcione» commenta Tippi.

«Perché? Adesso?» lo punzecchia Tai.

Tippi le fa la linguaccia divertita. Melody ride. Tippi è felice.

«Dov’ero rimasto? – riprende – Ah, sì! Pensavo che Tai fosse molto arrabbiata con me. Invece è stata molto gentile. Mi ha curato, si è assicurata che stessi bene, mi ha dato le coccole e mi ha aiutato a mettere a posto. Poi ci siamo presi i biscotti e siamo andati ad offrirli a Vaja. E per la prima volta ho visto Tai sorridere»

«Ho un debole per i biscotti e poi voleva darli a Vaja» commenta Tai.

«Il Maestro si è dichiarato contento che avevamo rotto il ghiaccio – riprende Tippi – e poi ci ha messo in punizione. Lì abbiamo finito per avvicinarci di più. Infine, con l’aiuto di Vaja, siamo diventati amici. È molto tenerona, anche se ogni tanto molla scappellotti»

«Quando fa i capricci» aggiunge Tai.

Tippi le fa di nuovo la linguaccia divertita.

Alla fine della cena, il coniglietto accompagna Melody alla sua stanza, lei lo invita ad entrare e lui curiosa ovunque. La stanza è piccolina, anche se molto grande per Tippi, dotata di una finestra è di un comò; al centro vi è un basso tavolinetto con dei cuscini dove sedersi; accanto alla porta scorrevole vi è un appendiabiti dove fa bella mostra di sé l’abito da viaggio di Melody; subito sotto vi è il suo zaino. Lì vicino vi è una piccola libreria piena di fumetti. Le pareti della stanza sono colorate di azzurro chiaro e sul soffitto troneggia il simbolo del Trio Drago.

«Non vedo il letto – commenta Tippi – Dove dormi?»

«Qui» risponde Melody indicando un’amaca a rete tra due colonne.

In un salto si sdraia elegantemente sull’amaca che inizia ad oscillare.

«È comodissima!» commenta sorridente.

«Sarà, ma secondo me è meglio un letto» commenta Tippi.

«Anch’io lo preferivo – risponde Melody mettendosi seduta – fin quando il mio Maestro non mi ha buttato dalla finestra con tutto il letto»

«Ha fatto… COSA?!» esclama Tippi completamente colto alla sprovvista dalla frase.

«Buttata dalla finestra. Letteralmente. Blum!» fa il gesto.

«Mi stai prendendo in giro!» esclama Tippi.

«Vieni»

Lo accompagna alla finestra; essa dà direttamente sul burrone che circonda il Tempio di Lung; alcuni metri più sotto vi è una sporgenza inavvicinabile sulla quale giacciono rottami di legno, ferro e stoffa.

«Come vedi ci sono ancora i resti» commenta Melody.

«Ma… Ma… Ti sarai fatta malissimo!» esclama Tippi tutt’ora incredulo.

«Abbastanza. Non sono finita nel burrone né schiacciata dal letto solo grazie ai miei riflessi. Da quel giorno ho preferito l’amaca: meno pericolosa»

«Ma perché?» dice Tippi che non si capacita.

«Perché secondo lui dormivo troppo e troppo comodamente. Secondo me aveva torto, ma che ci vuoi fare: lui era molto severo»

«No! – esclama Tippi arrabbiato – Era cattivo! Il mio Maestro è severo: mi ha punito moltissime volte ma non si è mai sognato né di farmi mangiare i giocattoli, né di buttarmi dalla finestra! Il tuo era un…»

Melody gli tappa prontamente la bocca.

«No, Tippi – gli dice calma – io la penso esattamente come te, ma in queste mura bisogna portargli rispetto: lui faceva parte del Trio Drago, conoscitore delle Tecniche Proibite ed uno dei più potenti Maestri che potresti incontrare. Bisogna portargli rispetto, anche se lui non lo ha per nessuno»

«Sarà» commenta Tippi poco convinto.

In quel momento qualcuno bussa allo stipite della porta.

«Maestro» dice Tippi mettendo il pugno destro nella mano sinistra ed inchinandosi.

«Maestro Ravinger» dice Melody mettendo il pugno sinistro nella mano destra ed inchinandosi.

«Devo conferire con Melody in privato – dice il Maestro – Tippi, è meglio che vai a letto»

«Sì Maestro» risponde Tippi.

Entrambi escono. Melody si attarda a vedere il coniglietto raggiungere Vaja che, a quanto sembra, lo stava aspettando. Lo schiocco di dita del Maestro Ravinger attira la sua attenzione e si mette a seguirlo. Poco dopo sono nella stanza del procione, seduti per terra uno di fronte all’altro.

«Allora Melody – esordisce il Maestro – è tutto il giorno che cerco il modo di dirtelo, ma sai che non sono bravo in queste cose. Un mese fa il Maestro Galway ci ha lasciato»

«Oh no! – esclama Melody triste – Mi dispiace: gli volevo bene»

«Lo so. Ma nessuno è immortale ed il Maestro Galway era molto anziano. Se ne andato senza soffrire»

Una lacrima riga il volto di Melody.

«Non aveva allievi, vero?» chiede dopo un momento di raccoglimento.

«In realtà credo che ne avesse più di tutti noi: Tai, Vaja, persino Tippi e forse molti altri. In tanti lui ha insegnato. Anche a te: se non erro è da lui che hai imparato i segreti delle piante medicinali, i punti di pressione e tutto il resto, vero?»

Melody annuisce.

«Mi ha insegnato anche alcuni usi del Chi – dice – ed era anche il mio salvagente contro la cattiveria del mio Maestro. Come voi, del resto»

«Maestro Saek pretendeva troppo. Credo abbia smarrito la via. Posso però affermare con certezza di essere contento che tu abbia preferito seguire gli insegnamenti miei e del Maestro Galway, piuttosto che l’esempio del Maestro Saek. Certo, i suoi metodi ti hanno reso bella forte»

A quelle parole il pelo di Melody si rizza per un momento mentre aggrotta le sopracciglia.

«Anche Tai e Vaja sono forti – ribatte – Il Maestro Saek mi voleva crudele ed io non volevo esserlo. Questo è il punto su cui ci scontravamo. E la forza non c’entra niente. Sì, sono diventata forte, nonostante lui. Tai e Vaja son la prova vivente che lui non…» si interrompe.

«Non capiva niente?» conclude il Maestro sorridendo.

«Si sbagliava» si corregge Melody.

«Mia cara Melody: hai ragione. Ma eri tu a doverlo dire. Sono lieto di averlo sentito dalle tue labbra»

A quelle parole Melody si rilassa e sorride.

«Grazie» dice infine.

«E visto che, come dice Lady Danek, la melodia è ancora dentro di te, passiamo al secondo motivo per cui ti ho voluti qui stasera»

Il Maestro Ravinger si alza e si allontana per un momento. Torna portando un cilindro contenitore ed una busta sigillata. Si siede di nuovo di fronte a Melody.

«Il Maestro Galway ha lasciato delle disposizioni a tutti – dice – da eseguire dopo il dovuto periodo di lutto. Il mio compito era consegnarti questi proprio questa sera – consegna cilindro e lettera – Dovrai leggere la lettera mentre starai nella tua stanza, da sola. Dovrai tirar fuori i fogli dal cilindro secondo le istruzioni in essa contenute»

«Una qualche idea di cosa ci sia scritto?»

«Nessuna. Sai com’era fatto il Maestro Galway: parlava poco, spiegava meno ed eri tu a dover capire»

«Sì, me lo ricordo: le prime volte mi sembrava oscuro eppure in breve diventava chiaro come la luce del sole. Non so come facesse»

«Era il Maestro Galway» conclude il Maestro Ravinger sorridente.

Poco dopo, seduta sull’amaca della sua stanza, Melody legge la lettera. Una marea di emozioni attraversano il suo volto: stupore, emozione, felicità, perplessità. Si sdraia tenendo la lettera in mano e leggendola altre due o tre volte.

«Maestro Galway, siete incredibile» commenta a bassa voce sorridendo.

Si stringe la lettera al petto, spegne la luce con la coda e si mette a dormire.


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