Un Racconto

capitolo 7: la grande scalata

Gatto e Corvo stavano oramai camminando da molto tempo quando a Micio mancarono le forze, si accasciò in un angolo e disse:

«Io non ce la faccio più»

«Non puoi non farcela, dobbiamo andare avanti, non abbiamo ancora trovato l’ingrediente»

«Vai avanti tu allora, io ho bisogno di riposarmi»

«E lasciarti solo? Mai, ho promesso di non farlo e non lo farò!»

Micio sorrise e gli casco una lacrimuccia.

«Ti voglio bene Corvo»

«Pure io Gatto»

E si abbracciarono chiudendo gli occhi.

Improvvisamente Corvo si scosse ed iniziò a dire:

«Stupido, scemo, idiota»

«Chi, cosa, dove?»

«Io! Il corvo nero me lo aveva detto di guardarmi attorno attentamente e di aguzzare la mente, ma io imperterrito continuavo a cercarlo chissà dove»

«Non ti seguo»

«L’ingrediente di bene che cercavamo, ce lo avevamo con noi fin dall’inizio; e noi che lo cercavamo chissà dove! – poi s’interruppe – Tu sai estrarre un ingrediente da dentro un corpo, Micio?»

Il Gatto scosse la testa.

«E allora siamo di nuovo da capo» disse spazientato e deluso il Corvo.

Il luogo dove si erano fermati era una grande costruzione sopra la quale troneggiavano varie statue. Micio, ansimante come un mantice, le guardava; improvvisamente si accorse che la statua che si trovava più in alto era colorata: rappresentava un fanciullo sorridente, biondo con gli occhi azzurri, indossava una tunica corta anch’essa azzurra con alcune strisce dorate; aveva le braccia alzate in segno di pace e sotto i suoi piedi tutti i demoni rifuggivano.

Gatto guardò meravigliato quella statua e poi disse:

«Vedi quella statua? Una volta mi dissero che si trova ovunque vi sia bisogno del suo aiuto e chi la raggiunge ne ottiene grandi benefici»

«Anch’io ho sentito qualcosa di simile, ma pensavo che la statua fosse in un’altra città»

«Che cosa hai detto?» disse Micio i cui occhi si erano improvvisamente accesi.

«Quando?» disse sobbalzando il Corvo.

«Un attimo fa»

«Ho detto che anch’io ho sentito qualcosa del genere»

«No, dopo»

«Che pensavo che la statua fosse in un’altra città»

«Allora siamo a cavallo! Andiamo»

«Dove?»

«Sulla statua, è apparsa lì appositamente per noi»

«Eh?!! A te si deve essere congelato il cervello. Sei matto a voler salir lassù?»

Ma il Gatto non lo stava a sentire ed aveva iniziato la scalata; il Corvo lo seguì sbofonchiando. Salire fino al tetto del palazzo fu abbastanza facile, sembrava che vi era una stada apposita. La parte difficile venne subito dopo: scalare il tetto e le statue era un’impresa ardua per chiunque, dato che erano coperti di neve, scivolosi e gelidi, figuratevi per quel Gatto minuto e per quel Corvo che non sapeva volare; più di una volta il Gatto si ritrovò con le zampe nel vuoto e dovette essere aiutato dal Corvo, altre volte fu il Corvo a rischiare di volare nel vuoto e fu aiutato dal Gatto. Più di una volta dovettero fermarsi: il Gatto non si sentiva più le zampe ed il Corvo aveva un male boia all’ala. Ogni volta che stavano fermi il Corvo si lamentava: «Ma tu non hai nulla in quella testa, ti dico che è un’impresa impossibile raggiungere quella statua, ed anche se ci riusciamo mi dici che cosa facciamo?», ma Gatto non lo stava a sentire e quando parlava era solo per dire: «Coraggio, andiamo avanti».

Raggiunte le statue dei demoni, la scalata si fece più impervia, ora vi erano anche bordi taglienti e sembrava che le statue facessero di tutto per impedirgli di andare avanti: più di una volta si trovavano in condizioni disperate in cui sembrava che non si potesse andare avanti, ed ogni volta che il Corvo lo faceva notare, il Gatto trovava una strada per andare avanti; si ferirono più volte ma alla fine raggiunsero la statua del fanciullo, le mani aperte sembravano che aspettassero solo loro ma ora la statua era liscia ed apparentemente impossibile da scalare.

«E adesso?» disse il Corvo

Micio rimase a pensare, non trovava nessuna stada praticabile, ma era intenzionato ad arrivare lassù a qualsiasi costo, così prese la sua decisione, e dopo essersi riscaldato un po’ le zampe disse al Corvo: «Saltami sulla schiena e cerca di equilibrarmi con le tue ali»

«Cos’hai intenzione di fare?»

«Non lo indovini? Scalare quella statua»

«Ma tu sei matto»

«Allora farò da solo» e si avvicinò

«Non so se sei più matto tu od io che ti do retta – pensò il Corvo e poi urlò – aspettami ti do una mano!»

Con il Corvo sulla schiena che gli faceva da bilancere, il Gatto tirò fuori le unghie e le conficcò nella statua; vi era una sottile strato di ghiaccio che cedette sotto le unghie del Gatto ed iniziò in questo modo l’impossibile scalata, questa volta non ci poteva essere sosta o riposo, pena una caduta mortale. Il Corvo era quello più sottoposto al vento ma l’unico che conosceva le correnti ed è per questo che il Gatto l’aveva voluto sulla schiena per quella scalata, seguendo le sue indicazioni ed il proprio istinto, dopo uno sforzo immane, riuscì ad arrivare a quelle mani, lì si rilassò e per lo sforzo effettuato si sentì male, voltò gli occhi all’indietro e cadde. Corvo allarmato disse: «Uhe Micio, non fare scherzi. Micio mi senti?», poi anche lui sentì la morsa del gelo, rivoltò gli occhi e cadde.


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