Miniracconto

Dobbiamo tornare a quando avevo la vostra età. All’epoca mia madre mi aveva insegnato i valori dell’amicizia e della fiducia. È con queste convinzioni che arrivai qui; con lo stesso sguardo dei vostri occhi: un misto di apprensione, curiosità e determinazione. All’epoca questo luogo era come lo vedete adesso: gli stessi alloggi e luoghi di Ritrovo che stanno alle vostre spalle, lo Spiazzo di Atterraggio dove vi trovate, i luoghi di Allenamento che stanno alla vostra destra ed alla vostra sinistra e la Piazza del Vortice di fronte a voi. Una differenza però vi era: ad uno dei confini della Piazza del Vortice, vi era una distesa di fango, il cui scopo era attutire la caduta e, come scoprii più avanti, umiliare chi aveva fallito la prova. Quando qui giunsi, gli allora Guardiani di questo posto, come piaceva definirsi a loro cinque, mi fecero un discorso ben diverso da quello che vi ho fatto io:

« E così eccovi qua. Nelle vostre bocche vi è ancora il simbolo della vergogna: il morso che vi toglie ogni parola. Siete qui giunti per affrontare il Vortice. Una prova terribile che dovrete affrontare da soli. Solo le vostre forze dovranno contare; qualsiasi tentennamento, qualsiasi debolezza porterà al fallimento. Schiacciate gli altri se è necessario: il vostro compito è raggiungere la luce che si trova nel fondo. Il Vortice rimarrà aperto mezz’ora; quello è il vostro tempo, dopodiché verrete espulsi e gettati nel fango. Per voi il Vortice si potrà aprire tre volte; non ho mai visto nessuno fallire più di una volta; non mi aspetto di meno da voi. Comunque avete tre possibilità. Il Vortice si aprirà tra una settimana; per allora dovrete essere pronti. Non voglio sentir domande, non voglio sentir richieste: fin quando avrete il morso, voi valete meno di niente. È chiaro? »

Gli altri annuirono. Io provai a fare una domanda, ma lo sguardo di fuoco di uno di loro mi gelò sul posto. Si avvicinò a me ed abbassò la sua testa guardandomi con disprezzo.

« È chiaro? » ripeté in tono furente.

Annuii terrorizzata.

Così iniziai ad allenarmi per passare la prova. Provai un altro paio di volte a porre domande; dapprima mi ignorarono, ma quando divenni troppo insistente mi guardarono con disprezzo, mi spintonarono gettandomi a terra e mi intimarono di non riprovarci, con un tono di voce tale da farmi sentir mancare. Da quel momento non li feci più domande. Con gli altri puledri le cose andavano meglio: strinsi amicizia con loro nel giro di breve tempo ed iniziammo ad allenarci insieme, paragonando i nostri sforzi. L’allenamento era divenuto una specie di gioco.

Alla fine della settimana eravamo tutti alla Piazza del Vortice scalpitanti. Avevo irrobustito il mio corpo e le mie ali erano forti: ce l’avrei fatta. Dopo pochi istanti si aprì il Vortice. Rimanemmo un istante attoniti ad osservare ciò che ci si presentava davanti: un enorme e lungo tunnel che ruotava su se stesso, pieno di gorghi, scariche elettriche e forte vento che si muovevano in maniera casuale e con traiettorie impossibili da prevedere. Giù in fondo non si vedeva alcuna luce: era molto più lungo di quanto ci aspettassimo.

« Andate! » ci intimò uno dei Guardiani.

Spalancammo le ali e partimmo. Il percorso era difficile: il vento ci sbatteva in ogni dove e dovevamo evitare i gorghi e le scariche che ci avrebbero intrappolato. Io procedevo abbastanza speditamente: i miei sensi mi avvertivano in tempo dei gorghi e delle scariche che si muovevano ed il vento riuscivo a contrastarlo grazie alle mie forti ali. Così non era per i miei compagni, ma io stavo sempre accanto a loro per aiutarli a mantenere la direzione od a farli uscire dai gorghi e dalle scariche che ogni tanto li prendevano. Io aiutavo loro, ma loro non si aiutavano.

Fu dopo non so quanto tempo che vedemmo la fine del Vortice. Vedere quella luce ci diede nuova carica. L’euforia di veder la fine, forse, mi fu fatale: un gorgo mi prese. Mi trovai a ruotare su me stessa ed essere sbatacchiata in ogni dove. Nessuno dei miei amici venne in mio aiuto. Capii che dovevo liberarmi da sola: sforzai i miei muscoli all’inverosimile e dopo diversi tentativi riuscii a liberarmi. Quando uscii dal gorgo ero stanca ed affaticata; il vento ora mi sembrava davvero forte. Mi lanciai verso la luce che era diventata un puntino, sperando che almeno uno dei miei amici venisse ad aiutarmi. Non avvenne. Fu una fatica incredibile raggiungere la luce. Vidi i miei compagni che parlavano tra di loro, finalmente liberi dal morso. Ero a pochi passi quando loro tornarono indietro. Mi travolsero come se non esistessi. L’urto mi fece male e ruzzolai nell’aria; il vento mi portò da tutt’altra parte. Guardai attonita i miei ex-amici allontanarsi e poi guardai la luce. La vidi iniziarsi a spegnere: il Vortice si stava chiudendo. Chiesi al mio corpo uno sforzo per raggiungerla. Non ce la feci. Il Vortice si chiuse ed io fui scaraventata nel fango. Mi immersi quasi completamente, ma attutì la caduta. Riuscii a risalire dopo un attimo. Avevo tutti i muscoli indolenziti ed il fiato corto. Vidi i Guardiani parlare con i miei compagni: nei loro occhi non vi era più disprezzo. Non so cosa si dissero. So che i miei compagni se ne andarono senza neppure salutarmi, mentre i Guardiani mi guardarono con ancora più disprezzo di prima. Mi dissero di uscire dal fango e non appena lo feci, mi tirarono addosso una secchiata d’acqua gelida per lavarlo via. Era ghiacciata. Fui scossa da brividi, ma loro mi ignorarono. Mi dissero di tornare al mio alloggio ed aspettare i prossimi. Io mi allontanai delusa dal comportamento dei miei compagni.

Ci volle una settimana prima del nuovo arrivo. La passai in piena solitudine: i Guardiani non mi degnavano di uno sguardo e io non avevo nessuno con cui parlare. Ne approfittai per allenarmi. Accolsi con gioia l’arrivo dei miei nuovi compagni. I Guardiani mi dissero che anch’io dovevo essere presente al loro discorso. Fu identico a quello precedente. Quando ci lasciarono andare, uno di loro mi richiamò.

« Ricorda che hai solo due tentativi » mi disse in tono gelido.

Raggiunsi gli altri e strinsi amicizia. Ci allenavamo insieme. Da parte mia avevo due settimane di addestramento in più di loro, nonché l’esperienza del Vortice. Ero più brava di loro, ma ci divertimmo comunque.

Una settimana dopo eravamo alla Piazza del Vortice pronti per affrontare la prova. Si aprì. Rimanemmo tutti allibiti di fronte a ciò che ci si presentava davanti. Era la seconda volta che lo vedevo, eppure mi faceva lo stesso effetto. Al segnale dei Guardiani, partimmo. Fu quasi come la prima volta: le tre settimane di allenamento, unite all’esperienza precedente, mi permettevano di percorrere il Vortice come di più mi piaceva; aiutavo gli altri quando si trovavano in difficoltà; come accadde la prima volta, loro non si aiutavano. Infine arrivò la luce. Ci lanciammo verso di essa. Ero più forte e più veloce degli altri e li staccai in breve. Successe qualcosa. Una fitta all’ala. Fortissima. Persi il controllo e finii in un gorgo. Vidi i miei compagni superarmi e raggiungere la luce; i loro morsi si dissolsero e li vidi parlare. Non tornarono indietro a prendermi. Spalancai le ali ed uscii dal gorgo. Fu uno sforzo, ma non eccessivo. Mi lanciai velocemente verso la luce. Vidi gli altri voltarsi e tornare indietro. Mi scansai per farli passare. Purtroppo loro non volevano tornare indietro. Si voltarono rapidamente e mi afferrarono. Mi portarono lontano dalla luce. Avrei voluto chiedergli perché, ma il morso me lo impediva. Mi scaraventarono in una scarica elettrica. Fu doloroso. I miei muscoli impazzirono e persi ogni coordinazione. Avrei voluto urlare, ma il morso me lo impediva. Ma quello che mi fece più male furono le risate dei miei ex-amici. Si divertivano della mia sofferenza. Riuscii a liberarmi dalla scarica con immensa fatica. Ne uscii che avevo ancora i movimenti scoordinati e loro mi colpirono e mi gettarono di nuovo al suo interno. Ridevano. Io mi chiedevano cosa li avevo fatto di male. Mentre ero in preda a quella sorta di convulsioni, loro iniziarono a schernirmi; ed io capii: mi avevano usata; avevano usato la mia esperienza per superare il Vortice ed ora che non gli servivo più, come avevano detto i Guardiani, era giunto il momento di schiacciarmi: non avevano mai sopportato che fossi più brava di loro ed ora volevano vendicarsi facendomi fallire la prova… nel modo più doloroso possibile. Mi sentii montare la rabbia ed uscii dalla scarica. Fu inutile. Erano in troppi. Mi riscaraventarono dentro. Continuarono a ridere del mio dolore, della mia disperazione. Continuarono così fin quando il Vortice non iniziò a chiudersi. Non riuscii neanche ad uscire dalla scarica. Il Vortice si chiuse che io ero ancora all’interno. Fui scaraventata nella melma. I miei muscoli erano ancora sconvolti dalle scariche; non riuscii a muovermi per un po’ di tempo. Quando ci riuscii e mi rialzai, mi trovai circondata dai Guardiani. I loro sguardi non erano solo carichi di disprezzo, ma anche di ferocia. Ero terrorizzata.

« Hai fallito una seconda volta – mi disse uno con una voce che conteneva collera – È la prima volta che succede » e mi sputò addosso.

« Sei una perdente » mi disse un altro con lo stesso tono ed anche lui mi sputò addosso.

« Un idiota! » disse il terzo, sputandomi anche lui addosso.

« Sei fortunata ad avere ancora una possibilità e fossi in te cercherei di non sprecarla » era il quarto a parlare con lo stesso tono degli altri, sempre sputandomi addosso.

Anche il quinto mi sputò addosso. Lui lo fece prima di parlare:

« Torna al tuo alloggio e bada a non farti vedere da noi, prima che arrivino i prossimi »

Mi allontanai senza provare a dire nulla: ero troppo spaventata dai loro sguardi e dal loro tono di voce. Non mi pulirono neanche: dovetti farlo da sola, di nascosto per timore che mi vedessero. Ma dentro mi bruciava pesantemente il fatto di sentirmi tradita: non avevo fallito per colpa mia, né per un caso; i miei compagni mi avevano usato per vincere la prova e poi avevo impedito a me di superarla. Ero arrabbiata; decisi che la prossima volta avrei fatto tutta da sola, ignorando e distanziando gli altri. Mi allenai per un’altra settimana.

Quando gli altri arrivarono, si poteva notare la differenza tra loro, che non avevano mai affrontato il Vortice, e me, con quattro settimane di allenamento e ben due tentativi di superare il Vortice. La cosa poi si notava ulteriormente, perché, quando ci avvicinammo per sentire il discorso dei Guardiani, io capitai vicino ad uno la cui criniera era color arcobaleno e le sue ali davano la sensazione di essere incredibilmente morbide. I Guardiani, questa volta, aggiunsero un pezzo al discorso:

« …ma soprattutto evitate di fare come questa imbecille – e mi indicarono – scema, senza cervello – e continuarono a riempirmi di insulti per buoni dieci minuti – che ha fallito ben due volte perché non vuole mettersi in testa, anzi in quella zucca vuota, che se necessario bisogna schiacciare gli altri… » e continuarono il discorso come la prima volta.

Io, però, mi offesi moltissimo: che diritto avevano di insultarmi così gratuitamente; non avevano neanche provato a sentire quello che avevo da dire. Così quando chiesero “È chiaro?”, io provai a prendere parola. Avrei voluto urlare, ma non potevo. Così provai ad agitarmi. Il solo risultato che ottenni è che loro si avvicinarono a me e mi urlarono nelle orecchie, a pieni polmoni:

« È chiaro? »

Fu come se mi scoppiassero i timpani: per un momento non sentii più nulla. Annuii con rabbia. Sciolsero le righe ed io tornai al mio alloggio furente. Iniziai a colpire qualsiasi cosa mi capitasse sotto gli zoccoli, fin quando non mi calmai. Uscii a prendere aria. Dopo un momento vidi arrivare quel puledro con la criniera arcobaleno e le ali morbide. Mi portò un fiore.

« Perché? » gli chiesi a segni, perplessa.

« Per darti qualcosa di delicato – mi rispose con un sorriso gioioso; poi aggiunse – Senti, mi spieghi perché i Guardiani ti hanno riempito di una valanga di insulti gratuiti? »

Fu come far saltare un tappo: non potevo urlare, ma mi agitavo come una furia, mentre cercavo di spiegare a gesti quello che mi era capitato e perché mi sentissi ingiustamente accusata. Lui rimase fermo, con lo sguardo attento per recepire i miei movimenti. Alla fine mi sorrise.

« Allora avevo ragione! – disse tutto contento – Non sei imbecille tu, sono idioti loro! » e mi lasciò lì, con un palmo di naso.

Successivamente iniziarono gli allenamenti. Il primissimo periodo lo passai da sola, poi venne a prendermi quel puledro.

« Io mi chiamo Lancer » mi disse.

« Il mio nome è Silvia » risposi.

« Bene, Silvia, che ne dici di venirti ad allenare con noi? Più siamo e più ci divertiamo »

Non seppi dire di no. Che ci volete fare, in fondo la mia personalità è questa. Strinsi in breve tempo amicizia con tutti e ci allenammo insieme. Lancer per me era strano: le sue ali morbide non gli permettevano di essere forti eppure si muoveva con estrema grazia. Inoltre era sempre allegro e gioviale. Ma, a parte quanto detto, non ebbe molti comportamenti speciali con me.

Una settimana dopo eravamo di nuovo tutti alla Piazza del Vortice. Io mi ripromisi mentalmente di distanziare tutti gli altri e raggiungere così la mia meta. Il Vortice si aprì. Rimasero tutti attoniti, eccetto me. Quando i Guardiani diedero il segnale, partimmo. Distanziai gli altri nel giro di pochi secondi: le cinque settimane di allenamento e le due esperienze precedenti, avevano fatto sì che per me il Vortice non era un problema. Dopo circa un minuto che avanzavo, mi voltai indietro e vidi gli altri in difficoltà. Che ci volete fare, io sono fatta così: tornai indietro ad aiutarli. Sembrava come le volte precedenti. Io aiutavo loro ma loro non si aiutavano. Però c’era una differenza e quella differenza era Lancer: nonostante fosse quello che trovava le maggiori difficoltà, date le sue ali morbide, era anche l’unico che ogni tanto cercava di dare una mano, finendo puntualmente bloccato in qualche gorgo.

Infine arrivammo alla luce. Mi sarebbe bastato un attimo per distanziare tutti e raggiungerla, ma non lo feci; non so perché, capii che Lancer era di nuovo in difficoltà; quando mi voltai lo vidi intrappolato in un gorgo che lo stava portando verso una scarica elettrica. Gli altri lo ignorarono. Io tornai indietro ad aiutarlo. Lo estrassi dal gorgo e lo spinsi verso la luce. Purtroppo la scarica elettrica mi raggiunse e, dolorosamente, persi il controllo del mio corpo. Un gorgo mi raggiunse e mi portò via. Vidi Lancer raggiungere la luce insieme agli altri; era sudato per la fatica e felice quando il morso lasciò la sua bocca. Anche gli altri erano felici. Poi Lancer si voltò verso di me ed il suo sorriso si spense. In un attimo mi fu accanto, come se il vento del Vortice non esistesse, e mi aiutò ad uscire dal gorgo.

« Andiamo alla luce » mi disse sorridendomi.

Ricambiai, ma quando ci voltammo, ci trovammo circondati dagli altri. I loro ghigni mi fecero capire cosa sarebbe successo di lì a poco. I miei muscoli indolenziti dalla scarica non mi avrebbero permesso di evitarli. Mi si lanciarono contro.

« No! » urlò Lancer frapponendosi in mezzo.

Fu inutile. Fummo scagliati contro le scariche. Avrei voluto urlare. Non potevo. Sentii Lancer nitrire di dolore. Sentii le risate dei miei ex-amici. Si stava ripetendo la stessa cosa dell’altra volta. Mi sentii improvvisamente spingere fuori dalla scarica. Era Lancer. Era riuscito a liberarsi e mi aveva liberato.

« Raggiungi la luce! » mi disse lanciandosi sugli altri.

Ci provai. Se i miei muscoli non fossero stati indeboliti dalla scarica e dal gorgo, forse ce l’avrei fatta. Ma non era così e mi raggiunsero prima. Prima di essere a mia volta scaraventata in una scarica, vidi Lancer che veniva colpito selvaggiamente, ogni volta che cercava di uscire dalla sua. Poi di nuovo il dolore. E rabbia. Rabbia per quello che stavano facendomi; rabbia per quello che stavano facendo a Lancer per il solo fatto che aveva tentato di aiutarmi. Saltai fuori dalla scarica. Forse loro si aspettavano che cercassi di raggiungere la luce, invece mi lanciai per aiutare Lancer e li evitai. Riuscii ad estrarlo. Fu un gesto carino per quanto inutile. Ci furono di nuovo addosso. In breve riuscirono a bloccarmi ed osservai impotente mentre gli altri massacravano di botte Lancer e gli strappavano le piume delle ali. Li sentivo mentre gli urlavano contro che quella era la punizione per avermi aiutato. Cercai di liberarmi. Erano in troppi. Ci scagliarono entrambi contro un’altra scarica. Persi totalmente il controllo del mio corpo. Avrei voluto urlare, ma non potevo. Sentivo nella mia testa mischiarsi le urla di Lancer e le risate degli altri. Vidi Lancer liberarsi di nuovo e tentare di aiutarmi. Lo vidi venir afferrato.

« Non ne hai ancora abbastanza? » gli dissero.

Ricominciarono a massacrarlo. Volevo intervenire, ma i miei muscoli non rispondevano affatto. Lo scagliarono contro di me nella stessa scarica. Lancer questa volta non urlò. Lo vidi invece piangere. Gli altri risero ed infine si allontanarono. Lancer era ridotto male, pieno com’era di lividi, con le piume delle sue morbide ali completamente strappate. Tuttavia lo vidi liberarsi dalla scarica e tirarmi fuori. Iniziò a spingermi verso la luce. Tentava con tutte le sue forze di sostituirsi al mio corpo che, in preda ad una sorta di convulsione, non rispondeva più.

« Devi farcela! – diceva piangendo – Non puoi fallire per colpa degli altri! Non devi fallire per avermi aiutato! Io avevo altre possibilità, tu solo questa. Non voglio che fallisci! Devi farcela! »

Cercai di aiutarlo ma il mio corpo non rispondeva. La luce si spense, il Vortice si chiuse. Fummo gettati entrambi nel fango. Non ebbi il tempo di chiedermi come stava Lancer. Non appena cercai di alzarmi, qualcuno mi rispinse giù. Erano i Guardiani.

« Hai fallito la tua ultima possibilità – urlavano a turno anche se io non capivo chi parlava – Sei e rimarrai un’idiota. Inadatta alla società. Quel marchio che hai addosso non rispecchia altro che ciò che sei: un infame. Un infame buona a nulla che non merita che questo! » ed iniziarono a colpirmi.

Uno mi immerse la testa nel fango dicendomi che quella era l’aria che dovevo respirare. Mi sentivo soffocare. Quando me la tirarono fuori, mi fecero mangiare fango, dicendomi che quello era il cibo che meritavo. E mi colpivano; massacravano il mio corpo, strappavano le piume delle mie ali. Urlavano, mi insultavano e provavano piacere nel torturarmi. Andarono avanti a lungo, impedendomi di respirare o facendomi mangiare fango, massacrandomi e torturando il mio corpo in altri modi che è meglio che non riferisca e che preferisco non ricordare. Pensai volessero uccidermi. Invece, di colpo, come l’avevano iniziata, interruppero la tortura. Rimasi sdraiata nel fango. Piangevo e tossivo. Tutto il mio corpo mi faceva male. Credo vomitai anche. Avevo tutta la testa coperta di fango, comprese le orecchie. Cercai di liberarmi almeno gli occhi e le orecchie.

« Alzati! » mi intimò uno dei Guardiani.

Non lo feci: stavo troppo male. Mi calpestarono un’ala. Avrei voluto urlare: il morso me lo impedì.

« Alzati! » urlarono di nuovo.

Il tono era chiaro: se non mi alzavo subito, loro avrebbero ricominciato. Fu la paura quella che mi fece alzare. Il mio corpo era scosso da forti brividi, le mie zampe faticavano a tenermi; stavo malissimo.

« Ed ora vattene – disse uno dei Guardiani – Sei esiliata da noi. Vattene e non tornare. Se ti rivediamo, ti pentirai di essere nata. Quello che ti abbiamo fatto ora, sarà nulla rispetto a quello che ti faremo »

Non mi mossi subito.

« Vattene! » urlò uno dei Guardiani tirandomi una pietra.

Mi colpì ad una spalla. Barcollai. Per fortuna non caddi. Li sentii avvicinarsi ed impennarsi. Il terrore ebbe la meglio sulla mia condizione fisica e scappai.

Non ricordo per quanto tempo corsi; non sapevo neanche dove stessi andando: ci vedevo male. Quello che ricordo è che andai avanti fin quando non crollai. E rimasi a terra a piangere. Perché si erano comportati tutti male con me? Perché tutto quel dolore? Perché questo? Io avevo solo fatto ciò che ritenevo giusto, non avevo fatto male a nessuno e tutti se l’erano presa con me. Mentre piangevo e pensavo a questo, mi rivenne in mente Lancer. Mi rivenne in mente quando mi portò il fiore, quando mi sorrideva contento, quando lo aiutavo nel Vortice e quando lui, cercando di imitarmi, finiva puntualmente in un gorgo, ma nonostante questo era contento. E mi ricordai di quando corse in mio aiuto; di quando veniva massacrato di botte per avermi aiutato; della sua determinazione nel non arrendersi: gli ero stata amica e non voleva lasciarmi. Continuavo a piangere. Infine mi iniziai a chiedere, come se stessi parlando a me stessa:

« Ma se tu avessi la facoltà di tornare indietro nel tempo, cambieresti le tue decisioni? »

« No – risposi dopo averci pensato un attimo – Non mi sentirei di rinnegare tutto quello in cui ho creduto e Lancer me lo ha fatto ben capire. Una singola amicizia vale molto più di tutte le altre cose. Nel Vortice l’ho capito: le difficoltà più grandi si possono superare solo insieme. Nonostante abbia fallito, ho capito questo. Se tornassi indietro nel tempo, non cambierei le mie decisioni »

Mentre rispondevo continuavo a piangere. Poi quella voce parlò di nuovo:

« Allora significa che tu hai capito il vero significato del Vortice »

C’era qualcosa che non andava: io non potevo sapere cosa significava il Vortice; c’era qualcuno che mi parlava. Cercai di togliere lacrime e fango dai miei occhi ed alzai lo sguardo. E lo vidi. Mi si presentò davanti come un enorme stallone nero; il suo corpo sembrava un cielo notturno. Nei suoi occhi quasi trasparenti lessi una dolcezza infinita nei miei confronti. Il suo aspetto non è descrivibile a parole: era bello e terribile allo stesso tempo. Vedendolo non ebbi dubbi: lui era il nostro dio e mi si era presentato davanti. Provai a dir qualcosa, ma il morso me lo impedì. Nascosi il muso tra le zampe.

« No, non ti vergognare del morso – mi disse lui con una voce incredibilmente dolce – Ti pare che possa mettere un simbolo di vergogna a qualcuno che non ha fatto ancora niente? »

Sollevai il mio muso e lo guardai. Lui si avvicinò a me e mi sfiorò con le labbra: il fango cadde, le ferite guarirono, smisi di stare male. Mi alzai. Non sapevo che dire. Lui mi stava sorridendo.

« Era da tempo che aspettavo qualcuno come te. Qualcuno che capisse il vero significato del Vortice e di tutto quello che ci sta dietro – mi disse dolcemente – E finalmente sei arrivata, superando la più difficile delle prove. Vieni con me: è giunto il momento di rimettere le cose a posto una volta per sempre »

Così lo seguii. Tornammo indietro. Camminavo al suo fianco. Non mi parlava; mi sorrideva dolcemente. Io non sapevo che dire.

Quando arrivammo nel luogo da cui ero scappata, scoprii che lui si era reso invisibile agli occhi degli altri, infatti i Guardiani si radunarono e dalle loro facce capii che si preparavano a farmi pagare cara la mia sfacciataggine.

« Va tutto bene » mi disse lui e continuammo ad avvicinarci.

Improvvisamente si dovette rivelare ai loro occhi perché vidi i loro sguardi, carichi di ferocia, cambiare in sguardi attoniti. Ci fermammo. Ora lui li guardava ed il suo sguardo era carico di disprezzo.

« Perché l’avete esiliata? » chiese.

« Aveva fallito le tre prove. Non era degna di rimaner con noi » risposero.

« Perché? » disse lui.

« Non lo vede? – risposero – Ha ancora il simbolo della vergogna addosso »

« Un simbolo di vergogna a qualcuno che non ha ancora fatto niente? » chiese lui.

« Sì – fu la risposta – È il simbolo imposto a coloro che sono indegni, come lo sono chiunque non abbia ancora deciso il suo destino nella maniera giusta »

Ho avuto l’impressione che lo stessero contestando, decidendo le cose in vece sua; un’impressione, nulla di più. Vidi il suo sguardo cambiare da disprezzo a disgusto.

« Quindi la avete bandita per questo – riprese lui – E c’era bisogno di torturarla prima? » la sua voce non esprimeva nessuna emozione.

Non risposero, ma i loro sguardi, come si spostarono su di me, dicevano chiaramente di sì. Ero nervosa. Lui si voltò verso di me. Il suo sguardo dolce mi calmò. Si volse di nuovo verso di loro. Il suo sguardo tornò ad essere disgustato.

« E non avete neanche provato a sentire quello che aveva da dire? » disse.

« Non c’era bisogno » risposero.

« Beh, io invece voglio sentirla – disse lui e poi si volse verso di me con sguardo e voce dolce – Coraggio: dì loro tutto quello che non hai potuto dire. Parla »

Alle sue parole il morso si sciolse ed io finalmente potei parlare. Raccontai ogni cosa.

« Avevamo ragione » dissero semplicemente loro, alla fine del mio racconto.

Rimasi allibita.

« Quindi se ho ben capito, il fatto che abbia fallito a causa degli altri, non ha alcuna importanza » disse lui.

« Alcuna » risposero loro.

« Il destino giusto è dunque quello di far del male agli altri e godere della loro sofferenza? » chiese lui.

« Il destino giusto è quello di essere forti e dimostrarlo » risposero loro.

« Non possono mentire in mia presenza – mi disse lui posando su di me uno sguardo dolce – Adesso hai capito perché hai superato una difficile prova? Io avevo imposto il morso che impedisce di parlare affinché si potesse capire quanto è importante il saper ascoltare, il capire le difficoltà di una comunicazione, e mi è stato trasformato in un simbolo di vergogna; avevo creato il Vortice per far capire che, per quanto grande sia una difficoltà, insieme si possa superare e mi è stato trasformato in una prova dove vince il più forte, chi schiaccia gli altri. Volevano essere segni di amore e fratellanza e mi sono stati trasformati in segni di divisione ed odio. Ma ora sei arrivata tu che, nonostante quello che hai passato, hai mantenuto intatte le origini dei simboli. È grazie a te che ora rimedieremo – il suo sguardo cambiò divenendo serio; nei suoi occhi vi trovai l’infinito; la sua voce divenne molto profonda – Io ti dono il potere sul Vortice! Niente più numeri di tentativi, niente più tempi massimi, hai la facoltà di aprirlo e chiuderlo quando vorrai; potrai tenerlo aperto tutto il tempo necessario. D’ora in avanti sarai tu a condurre i puledri alla prova, a far sì che capiscano in cosa essa in realtà consista; li guiderai lungo il loro percorso affinché capiscano che l’amicizia sia qualcosa di molto forte »

Alle sue parole sussultai: stava appoggiando su di me un’enorme responsabilità. Mi sentivo schiacciata. Ma prima che potessi dire qualcosa, furono gli ex-guardiani a parlare:

« Non può farci questo! – tuonarono – Nostro è il compito di condurre i puledri alla prova; nostro è il potere di decidere chi è degno; noi siamo i Guardiani. Lei non ha alcun diritto… tu non hai alcun diritto di sostituirci. Nostro è il potere! » l’impressione è che gli volessero saltare addosso.

Ora, io non so qual’è il modo migliore per rivolgersi al nostro dio, ma per me quello era il peggiore. Ed infatti vidi i suoi occhi accendersi di rabbia; mentre si voltava verso di loro tutto divenne buio; solo lui era visibile ed il suo aspetto, pur senza cambiare nulla, diveniva sempre più terribile.

« Come osate rivolgervi a me in questo modo! » tuonò con una voce così forte da spaccare le montagne.

In quell’istante gli ex-guardiani capirono il loro errore. Tremavano di paura di fronte alla sua collera.

« Come osano le vostre fogne proferire tali parole – continuò lui – Come osate criticare il mio operato. Voi che avete trasformato le mie creature in esseri sordi che godono nel far del male agli altri. Voi che avete trasformato dei sentieri di amore in sentieri di odio. Come osate dire che è vostro un potere che non vi è mai stato concesso. Vi siete auto-nominati Guardiani ed adesso pretendete di dettare legge. Di dire a me quello che devo fare! Avete oltrepassato ogni limite! »

Temetti per loro.

« Siete fortunati – riprese dopo un attimo – che colei che avete esiliato e torturato per colpe non sue abbia ancora pietà per voi. È in sua virtù che mi limiterò a ripristinare su di voi ciò che considerate un simbolo di vergogna »

Vidi il morso riformarsi sulle loro bocche impedendogli ogni parola.

« E così rimarrà fin quando non avrete capito – continuò lui – Neanche il Vortice potrà liberarvi fin quando non vi sarete pentiti delle vostre azioni. Solo allora potrete venire qui e chiedere il favore a Silvia, colei che ha il potere sul Vortice, di aprirlo per voi. Solo allora il morso lascerà le vostre bocche libere di parlare. In caso contrario, le vostre fogne non proferiranno mai più parola. Ed ora sparite dalla mia vista, prima che mi arrabbi sul serio. Non tollererò oltre la vostra presenza »

Gli ex-guardiani spalancarono le ali e, spaventati a morte, scapparono via. Solo quando si furono allontanati tornò la luce; l’aspetto del nostro dio, pur non cambiando nulla, tornò ad essere bello e terribile allo stesso tempo; il suo sguardo si addolcì mentre mi guardava.

« Spiacente di averti spaventata – mi disse – La mia collera non era indirizzata a te »

In effetti la sua manifestazione di rabbia mi aveva lasciato un po’ sconvolta. Come si sarebbe comportato se gli avessi detto i miei dubbi? Si accorse del mio disagio perché, con voce dolcissima, mi disse:

« Tu non hai nulla da temere. Coraggio, avvicinati e parlami dei tuoi dubbi »

Io mi avvicinai, rendendomi solo in quel momento conto che la distesa di fango era scomparsa. Mi ci volle un attimo prima di parlare:

« Senta, non per offenderla e sono anche molto lieta della fiducia che pone in me, ma non credo di essere la creatura adatta. Lei sta mettendo sulla mia groppa una responsabilità che io non credo di sopportare »

« Fidati Silvia, se ho scelto te è perché sono sicuro che tu sei quella giusta. È una responsabilità, ma non sarà un peso, anche perché non sarai sola – si voltò – Vieni pure fuori: so che sei lì dietro »

Da un angolo uscì fuori, timidamente, Lancer.

« Vieni. Avvicinati. Non aver paura » gli disse lui.

Lancer si avvicinò. Mi resi conto che era ulteriormente peggiorato, come se qualcuno lo avesse continuato a prenderlo a botte dopo che aveva lasciato il Vortice: era tutto pesto e livido, teneva le ali flosce sui fianchi a cui avevano strappato quasi tutte le piume, aveva un occhio nero, zoppicava vistosamente, era sporco di fango e si vedeva che stava male.

« Ecco… io… » disse con un filo di voce forse intimorito dalla presenza di lui.

« Non ti biasimo per avere avuto paura » disse lui con voce dolcissima e poi lo toccò con le labbra.

Il fango cadde e le ferite guarirono, il suo corpo riprese vitalità e ricomparvero le piume sulle ali. Lancer si raddrizzò sulle zampe e ripiegò le ali. Lo guardò con gratitudine.

« Ecco… » provò a dire ma non riuscì a finire.

« Non devi giustificarti in alcun modo con me – disse lui – Parla invece a Silvia: credo che le interessi sapere cosa ti è successo »

Lui mi guardò. Io annuii.

« Quando siamo usciti dal Vortice – mi raccontò – Sono rimasto terrorizzato da quello che ti stavano facendo. Sarei voluto intervenire in tuo aiuto, ma non ne ho avuto il coraggio. Mi dispiace » ed abbassò la testa.

« E dopo? » disse lui.

Lancer rialzò la testa guardandomi.

« Fu solo dopo che ti hanno cacciata che io riuscii a prendere un po’ di coraggio – riprese – In fondo io avevo superato la prova, loro mi sarebbero stati a sentire. Così è stato: raccontai ogni cosa; la loro reazione fu tutt’altra rispetto a quella che mi aspettavo. La stessa risposta che hanno dato a te, la diedero a me. Allora mi inalberai e dissi tutto quello che mi passava per la testa. Si arrabbiarono. Decisero di inculcarmi le loro idee a suon di botte. Mi sbatterono nel fango, iniziarono a colpirmi e… – si interruppe, forse non voleva ricordare i dettagli – Quello che hanno fatto a te era comunque molto peggio » concluse.

Non ne ero convinta: gli ex-guardiani avevano mostrato una forte dose di cattiveria: torturare me e Lancer, due puledri, la cui unica colpa era non condividere le loro idee.

« Ma… » incalzò lui.

« Ma io non ero d’accordo – riprese Lancer – Mi rifiutavo di credere che il morso potesse essere un simbolo di vergogna: avevo imparato ad ascoltare ed a capire; non potendo parlare, dovendo comunicare a gesti, avevo benissimo inteso quanto possa essere difficile capire gli altri. Nel Vortice, grazie anche al tuo aiuto, ho inteso che insieme si possono superare molte difficoltà. Non avrei mai superato il Vortice senza il tuo aiuto. E per quanto loro mi torturassero, io non volevo cedere. Alla fine, però, ho dovuto fingere di arrendermi, altrimenti mi avrebbero ammazzato di botte. Mi lasciarono a terra. Stavo malissimo ma pensavo a te. Non ero riuscito a portarti alla luce, non ero riuscito ad evitare che ti facessero del male, né ad evitare il tuo esilio. Ma una cosa la sapevo: non ti avrei lasciato sola. Eri stata mia amica, non ti avrei abbandonata qualsiasi sofferenza avrei dovuto sopportare. Mi sono attardato per poter un po’ curare il mio corpo o non ti avrei mai raggiunta e frattanto tu sei tornata »

Il suo sguardo era felice, felice di rivedermi.

« Va da lei » disse lui.

Lancer lo guardò per un momento.

« Un istante » disse.

Tornò dietro il muro e ne uscì con un fiore. Si avvicinò a me e me lo diede.

« Ho pensato che dopo tanta durezza qualcosa di delicato poteva farti piacere – mi disse guardandomi con uno sguardo gioioso – Se vuoi staremo insieme, insieme affronteremo le difficoltà e le supereremo tutte. Perché noi siamo amici, vero? »

Mi sono commossa.

« Amico mio » dissi semplicemente abbracciandolo.

Ci avvolgemmo con le ali incrociando le teste. Piangevo di gioia, stretta nel sue ali morbide… morbide sul serio. In quell’istante la responsabilità datami dal nostro dio non mi sembrò più un fardello, ma qualcosa di leggero che insieme a Lancer avrei sopportato senza problemi. Quando riaprimmo gli occhi, lui era scomparso. Da quel momento iniziammo questo piacevole lavoro.


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